giovedì 23 aprile 2009

Abruzzo: la vostra sabbia non la paghiamo !


pubblichiamo in anteprima l'editoriale del prossimo numero della rivista Erre
di Daniele D'Ambra

In questi giorni un'imponente campagna mediatica si è concentrata sul terremoto in Abruzzo con i suoi 296 morti, decine di migliaia di sfollati, una provincia praticamente da ricostruire. Premessa alla base della narrazione è stata l'imprevedibilità di fenomeni naturali di questo tipo, con un allusione neanche troppo velata all'inevitabilità di quanto accaduto. A completare l'opera e a darne forza la cornice dei soccorsi, esaltati per efficacia e tempestività. Qualsiasi voce fuori da questo coro - come dimostra la censura su Annozero di Michele Santoro - è stata pesantemente attaccata e messa a tacere.
Ma se la comunità scientifica è effettivamente divisa sulla possibilità di previsione dei terremoti, quel che invece appare chiaro è che la tragedia in Abruzzo era ampiamente prevenibile e poteva essere evitata. Come rivela uno studio del prof. Martelli, docente all'università di Ferrara e presidente dell'Associazione nazionale di ingegneria sismica, un terremoto di grado 7 della scala Richter (la scossa maggiore in Abruzzo è stata di grado 5,8) nell'Appennino meridionale provocherebbe tra i 5000 e gli 11000 morti, in Giappone “solo” 50.1 Nell'isola nipponica di scosse, come quelle dell'Aquila, ce ne sono diverse ogni anno e non lasciano dietro quel che abbiamo visto nelle ultime settimane.
A uccidere centinaia di persone non è stato lo slittamento di una faglia superficiale, ma il crollo di edifici che a rigor di logica non avrebbero dovuto riportare particolari danni a fronte di un evento sismico di tale entità e a fronte della normativa vigente in Italia sui criteri antisismici di costruzione. Il problema è che costruire in base ai suddetti criteri “comporta un aumento dei costi del 3-5%”2, una riduzione dei profitti a quanto pare inaccettabile per i costruttori. Ancora una volta le nostre vite, in questo caso le vite delle popolazioni abruzzesi, vengono subordinate ai profitti e - piuttosto che aumentare minimamente i costi del costruito - si preferisce mettere a rischio l'incolumità di chi, inconsapevole di tutto questo, quelle case le ha comprate o le ha abitate in affitto. Ancor più grave è il fatto che una parte degli edifici crollati sia di utilizzo pubblico, fra tutti l'ospedale San Salvatore e la Casa dello Studente, ristrutturata appena 3 anni fa.
Esprimere cordoglio per le vittime, solidarietà alle popolazioni colpite, impegnarsi, come stiamo facendo con molti altri soggetti di movimento- vedi www.epicentrosolidale.org -, nell’aiuto concreto alle decine di migliaia di sfollati, non significa quindi tacere la denuncia delle responsabilità di quanto accaduto. Anzi, la stessa costituzione di un coordinamento di attivisti locali e nazionali come Epicentro Solidale, oltre ad occuparsi della raccolta e della distribuzione d'aiuti in base ai bisogni materiali delle popolazioni colpite, allude già alla necessità di un Osservatorio permanente che vigili dal basso tanto sulla gestione dell'emergenza quanto sulle modalità con cui si progetterà e realizzerà la ricostruzione. Perché quanto successo non torni a ripetersi.
Ma la tragedia abruzzese chiama in causa la logica generale di un’economia, e di una politica, che preferiscono “spendere” periodicamente alcune centinaia (quando non migliaia, come in Irpinia) di vite umane piuttosto che accollarsi i costi della sicurezza ambientale, della tutela di un territorio estremamente fragile e devastato da decenni di speculazioni. La tragedia abruzzese parla, perfino nei nomi delle ditte coinvolte, di altri scandali ambientali e di altre popolazioni calpestate nei loro diritti, non a caso la famigerata Impregilo, ditta costruttrice dell’ospedale dell’Aquila inaugurato nel 2000 e miseramente crollato durante il terremoto, è la stessa responsabile dell’emergenza rifiuti in Campania, la stessa vincitrice dell’appalto per il Ponte sullo Stretto e che partecipa alla realizzazione della Tav.
La logica che ha provocato il dramma abruzzese vede accomunati, nelle responsabilità, i costruttori che risparmiano sulla sicurezza per aumentare i profitti, gli amministratori che privilegiano gli interessi di pochi imprenditori del mattone a scapito della vita dei cittadini, il governo che vede nel terremoto solo un’occasione per un po’ di propaganda mediatica o, peggio, per far ripartire l’economia.
Proprio su questo terreno si giocherà la partita più importante, quella della ricostruzione. Con occhio cinico rivolto alla crisi economica il governo ha dapprima rifiutato qualsiasi aiuto estero, per poi destinare i fondi accettati alla ricostruzione dei beni culturali danneggiati. Della ricostruzione degli edifici, pubblici e privati, dovrebbero invece occuparsi le imprese edilizie nostrane attraverso i fondi messi a disposizione dallo Stato e dagli enti locali. Quale occasione migliore per far ripartire l'economia nazionale se non quella di regalare ingenti risorse pubbliche alle imprese, con il rischio che siano proprio quelle corresponsabili di quanto accaduto ad occuparsene?
La ricostruzione, invece, andrebbe fatta pagare a chi è stato responsabile dei crolli ed, in generale, a chi in questi anni ha fatto profitti miliardari sulla speculazione edilizia, magari immaginando una tassa di scopo per le imprese edili vincitrici di appalti pubblici e per i grandi profitti. Parafrasando lo slogan del movimento studentesco, ormai adottato da molti soggetti in lotta, dovremmo affermare con forza che “noi la vostra sabbia non la paghiamo”, anche perché gli abruzzesi l’hanno già pagata molto cara, con 300 morti!
Un'altra idea di sviluppo economico e territoriale è necessaria. Il modello dettato dal libero mercato e dal profitto ha tragicamente fallito, ha provocato morti e la distruzione di interi agglomerati urbani, mostrando il proprio fallimento nella gestione del territorio. Serve invece un modello di vera e propria pianificazione territoriale ecologicamente orientata che offra una visione d'insieme, uno sviluppo coerente con l'ambiente e le necessità delle popolazioni locali Serve un modello alternativo in cui si spendano milioni per geologi e vigili del fuoco e nessun euro per mandare soldati all’estero; in cui si lavori alla ristrutturazione sociale e urbanistica delle città bloccando la speculazione edilizia. L’anticapitalismo è spesso indicato come scelta ideologica, mai come in queste occasioni se ne può cogliere l’attualità e l’efficacia ai fini di una vita sicura, degna di questo nome.
Ora, nel momento in cui si affaccia l’urgenza della ricostruzione diviene centrale il tema della partecipazione degli sfollati. L'invito grottesco del premier Berlusconi alle popolazioni abruzzesi ad andare “lì sulla costa, noi ci prenderemo cura delle vostre case..sarete serviti e riveriti” parla in realtà dei precisi intenti del governo. Le popolazioni abruzzesi non devono avere voce nel capitolo della ricostruzione, a quella penseranno il governo e le imprese; perché mai preoccuparsi di chi già si è reso responsabile di costruzioni così ben fatte? Anzi, spostandosi in avanti sull'onda dell'emergenza si possono far passare scelte politiche di difficile accettazione in tempi di normalità, come la privatizzazione di servizi pubblici e deturpazioni ambientali di ogni genere, vedi il progetto della “New Town”.
Fortunatamente non sembra pensarla così chi è nei circa 140 campi allestiti dalla Protezione Civile. In questi giorni in molti stanno costituendo Comitati volti al controllo ed alla possibilità di incidere sulla ricostruzione. Giocherà un ruolo determinante la capacità di far pesare la propria voce, di acquisire potere decisionale da parte dei comitati, e di stabilire tra loro una forma di coordinamento stabile che ne rafforzi l'azione nel ripensare e ricostruire il proprio territorio. Una ricostruzione che dovrà quindi essere determinata in primo luogo dalle necessità e dalla volontà della cittadinanza colpita e non calata dall'alto, ancora una volta guidata dal profitto e dagli interessi delle imprese pronte a speculare anche in questo contesto tragico. Il primo banco di prova per i Comitati sarà proprio il controllo sugli attori istituzionali e i primi interventi che verranno realizzati, così come sulle imprese che se ne occuperanno. La funzione di Osservatorio risulterà centrale in un contesto in cui le ingenti cifre degli investimenti pubblici muoveranno molti interessi, spesso contrapposti a quelli della popolazione. L'autorganizzazione degli sfollati potrà essere l'unica arma contro una ricostruzione selvaggia e in mano alla speculazione, l'unico modo affinché il controllo dal basso della cittadinanza possa determinare le scelte e verificare il rispetto di norme e criteri di costruzione, trasformando la tragedia in possibilità.
La possibilità che questa emergenza la paghi chi l'ha causata e decida sulla ricostruzione chi l'ha subita. Almeno questa volta.

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