sabato 18 aprile 2009

La leggenda nera di Losurdo (e le rettifiche di Canfora)


La leggenda nera di Losurdo (e le rettifiche di Canfora)
Liberazione è stata attraversata nei giorni di Pasqua da una dura polemica interna - vedi di seguito a questo articolo - relativa alla recensione del libro di Domenico Losurdo (Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, con un saggio di Luciano Canfora, Carocci, Roma, 2008). Pubblichiamo qui la recensione apparsa sull'ultimo numero di Erre.

di Antonio Moscato
Domenico Losurdo è tornato con prolissità sul suo chiodo fisso: Stalin sarebbe stato vittima di una campagna di denigrazione sistematica, di una "leggenda nera".
Già la scelta del termine è discutibile ma, vedremo, non casuale: è quello con cui in Spagna si è tentato di negare l'orrore dello sterminio degli indigeni nelle Americhe, attribuendolo appunto a una "leggenda" creata da paesi ostili e concorrenti nella feroce conquista del mondo extraeuropeo. Ma non si tratta solo del titolo.
Losurdo, come storico è una frana, e come polemista ancor peggio: sceglie come bersagli autori più che discutibili. Il primo bersaglio è Chrusciov, che evidentemente egli conosce poco. Soprattutto prende per buono il suo "antistalinismo", e pensa che sia stato accolto con entusiasmo dai trotskisti (la cui produzione ignora completamente), che invece avevano detto subito che il successore di Stalin cercava solo di scrollarsi di dosso ogni responsabilità per la lunga e stretta collaborazione con il dittatore.
L'altra fonte scelta per polemizzare facilmente è il famoso Libro nero del comunismo, o meglio la sua inattendibile introduzione a cura di Stéphane Courtois, ignorando che in realtà la parte sull'Urss curata da Nicolas Werth non è poi così fantasiosa e "ideologica". Comunque Losurdo ignora tutte le testimonianze storiche non apologetiche, e si concentra molto su alcune esaltazioni di Stalin fatte da illustri conservatori senza domandarsi perché a questi signori Stalin piaceva tanto.
Così riporta con entusiasmo il giudizio positivo di Churchill (poteva ricordare anche quello di Ribbentrop...) o quello di De Gasperi, che esalta Stalin come un genio.
Del Gulag Losurdo dice che c'è poco da scandalizzarsi, dato che campi di concentramento per i nemici e gli stranieri c'erano anche in occidente. Vero, ma che c'entra? A che serviva una rivoluzione, se poi si dovevano fare le stesse cose che facevano gli altri? Losurdo non si pone la domanda e si direbbe che, nonostante qualche proclamazione verbale, non sia un rivoluzionario ma piuttosto un conservatore. A parte gli argomenti che giustificano come inevitabile tutto quel che è accaduto, nel libro ci sono comunque tante sciocchezze e inesattezze che non varrebbe la pena di parlarne. Lo facciamo solo perché si tratta di una sistematizzazione di un pensiero abbastanza diffuso in alcuni settori della sinistra, non solo "estrema". Un pensiero che nasce da un amore per "l'ordine" che regnava in Urss prima del suo crollo, su cui peraltro Losurdo non si interroga se non di sfuggita, insinuando che sarebbe stato il prodotto di vari "demolitori" al servizio dell'avversario.
Losurdo ignora completamente la immensa letteratura sovietica sui Gulag (ignora Solzhenicyn e Salamov, Grossman e Rybakov, la Ginzburg e la Mandelstam e centinaia di altri che lo stalinismo l'hanno anche provato sulla loro pelle o su quella dei loro cari), e si basa invece ad esempio su un pamphlet giovanile di ... Curzio Malaparte, per ridurre il terrore staliniano alla legittima risposta a un tentativo di "colpo di Stato delle opposizioni".
Colpo di Stato sarebbe stato il disperato tentativo di stampare al ciclostile le tesi dell'Opposizione di sinistra nel 1927, e di sfilare con scritte contro la burocrazia nel XX anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. Losurdo arriva fino a non citare la lettera di Gramsci del 1926, che criticava l'allontanamento dal partito di Trotskij e altri, e che fu bloccata da Togliatti e Bucharin, mentre invece usa qualche frase sibillina dei Quaderni per contrapporre un presunto internazionalismo di Stalin al "cosmopolitismo" di Trotskij. L'accusa nell'Urss staliniana alludeva pudicamente alle origini ebraiche, ma Losurdo non lo ammette: arriva anzi a dire che il "complotto dei medici" smentirebbe l'antisemitismo di Stalin: "dopo tutto, sino alla fine, egli ha affidato ad ebrei la cura della sua salute".
Ma oltre al testo di Losurdo va notato anche che il saggio di Luciano Canfora aggiunto alla fine del libro appare di fatto più che un'integrazione, una presa di distanza. Canfora è stato per anni ispiratore di Losurdo, ma è più intelligente e relativamente più colto e, anche se in passato non sempre lo aveva applicato alla storia contemporanea, è padrone del mestiere di storico; questa volta lo ha usato meglio: ha quindi lasciato cadere molte delle tesi che sosteneva in un passato non lontano, come quella del "Rapporto segreto" manipolato dalla Cia, o quella che asseriva la inevitabilità e giustezza del patto russo-tedesco del 1939.
A questo proposito, ad esempio, Canfora dice: "Le motivazioni addotte dopo, secondo cui il patto era stato stretto per «prepararsi» meglio, per prendere tempo rispetto ad un successivo attacco tedesco, sono probabilmente motivazioni costruite post eventum: non è affatto detto che Stalin ritenesse davvero inevitabile l'attacco tedesco contro l'Urss; ed anzi lo stato di impreparazione in cui l'operazione Barbarossa trovò le linee sovietiche farebbe pensare il contrario."
Non è poco, e soprattutto è esattamente il contrario di quanto asseriva pochi anni fa.
Ma niente illusioni, nel saggio di Canfora di errori macroscopici (nell'interpretazione del ruolo di Stalin nella rivoluzione spagnola, o sulla inesistenza di una rivoluzione in Germania e in Austria durante le trattative di Brest Litovsk) ce ne sono ancora tanti. Ci sono però anche le tracce di un'evoluzione, inattesa dopo decenni di testardo giustificazionismo.
Per questo sono stato tentato dal nuovo libro di Canfora sui falsi nella storia, pur sapendo che in parte riciclava articoli già apparsi soprattutto sul "Corriere della sera". Così è infatti, ma la sorpresa è che egli abbandona alcuni suoi cavalli di battaglia, come appunto la presunta falsificazione del rapporto segreto, e quello ben più importante sulle interpolazioni nel "Testamento di Lenin".
Canfora ci tiene a presentarsi come una specie di Sherlock Holmes della filologia. A volte coglie nel segno, come nel caso della lettera di Ruggero Grieco che fece tanto indignare Gramsci in carcere, e che risulta essere stata interpolata dalla polizia fascista, e forse anche in quello del presunto "papiro di Artemidoro" a cui Canfora ha dedicato ben due libri.
La novità è che se qualcuno che egli stima lo avverte e gli fornisce una documentazione che lo smentisce, egli sa fare anche marcia indietro; magari concede un riconoscimento indiretto al suo mentore inserendolo in una lunga lista di coloro che "alla nascita di questo libro hanno contribuito, con generosità".
La maggior parte del libro è dedicata all'argomento, già trattato più volte, della lettera di Grieco a Gramsci, con non dissimulata polemica con Spriano, ed è un po' pedante e quindi pesante. Ma la prima parte, invece, dedicata al "testamento di Lenin", merita una certa attenzione. Avevo già letto anni fa - e non condiviso - quanto scriveva Canfora in proposito, ma sono stato spinto a rileggerlo da una nota che in maniera abbastanza ellittica diceva: "I dubbi che espressi anni addietro (Pensare la rivoluzione russa, Teti, Milano, 1995, p. 25) non paiono legittimi.".
La forma è cauta ma la correzione di linea è stata totale. Nel 1995 Canfora, che aveva scorso frettolosamente il materiale apparso negli ultimi anni dell'Urss e subito dopo il crollo, aveva sostenuto in quel libro che, se qualche modifica al testo originale era stata apportata, lo si doveva a una delle segretarie, L. Fotieva, di cui insinuava che fosse vicina a Trockij. Cosicché, pur avendo avuto tra le mani una descrizione dettagliata di come era avvenuta la falsificazione, Canfora concludeva: "C'è qualcosa di poco chiaro in questa narrazione, che sembra mirare unicamente a porre in luce negativa i comportamenti di Stalin". Grave colpa...
Oggi qualcuno gli ha fatto avere il testo di alcune interviste che lo storico sovietico Aleksandr Bek fece nel 1967 a due delle segretarie di Lenin, Lidija Fotieva e Marija Volodiceva, che avevano ammesso di aver consegnato in anteprima a Stalin quella parte del testo dettato da Lenin semiparalizzato, che esprimeva giudizi sui principali dirigenti del partito. Stalin, su cui il giudizio di Lenin era più severo, aveva ordinato di bruciare il foglio, ma si era salvata una copia, sia pur ritoccata aggiungendo una poco verosimile nota negativa anche su Trockij. Canfora riporta tutta la documentazione in appendice: la Fotieva, che per Canfora nel 1995 sarebbe stata simpatizzante di Trockij, cercava di negare tutto, screditando la collega; incalzata da Bek aveva finito però per ammettere l'episodio, dicendo che non poteva fare altro, dato che considerava Stalin un "grande uomo", un "genio" (e nel 1967 sperava anzi che il giudizio ufficiale su Stalin tornasse positivo...).
Così Canfora deve ammettere seccamente che "dall'insieme di questi dati risulta che Fotieva è un elemento che «si rapporta» a Stalin. La sua perfetta carriera in costante ascesa fino al pensionamento nel 1956 sembra confermarlo"
Ma la conclusione più generale è ancora più esplicita e sorprendente:
"Stalin aveva vinto, a suo tempo, la difficile partita politica anche grazie a quel minuscolo inserto abilmente innestato nella Lettera al Congresso: «Così come il non bolscevismo a Trockij» [la frase interpolata NdA]. Ma ha anche vinto, nel suo Paese, la partita storiografica; ha doppiato brillantemente persino gli scogli del XX e del XXII Congresso; ha vinto facendo «parlare» Lenin in modo del tutto incongruo, ma ormai anacronistico dopo il passaggio di Trockij coi bolscevichi ben prima della rivoluzione".
Speriamo che dopo questo primo passo, Canfora riveda con lo stesso rigore qualche altra delle sue conclusioni affrettate e "giustificazioniste" sullo stalinismo e sul suo principale interprete italiano, Palmiro Togliatti.
Ivi, p. 223
Ivi, p. 327
Su questo rinvio al mio Trockij e la pace necessaria.1918:la socialdemocrazia e la tragedia russa,Argo, Lecce, 2007.
Luciano Canfora, La storia falsa, Rizzoli, Milano, 2008.

Ivi p. 73
Ivi, p. 60.
Luciano Canfora le aveva espresse soprattutto nel suo Togliatti e i dilemmi della politica (Laterza, 1989) a cui avevo risposto con un ampio saggio dallo stesso titolo apparso sul numero 4 della rivista "A sinistra" del maggio 1989. La rivista è oggi ovviamente introvabile, ma posso inviare il testo a chi me lo richiede (antonio.moscato@alice.it).

Il socialismo alla prova del gulag
Tanti drammi per un simile risultato?
Manifestazione di ex militari dell´Armata rossa a Kiev, in Ucraina, il 14 ottobre di quest´anno ...

Guido Liguori
Stalin mostro sanguinario o politico realista costretto dalla storia a scelte obbligate? Nel suo ultimo libro ( Stalin. Storia e critica di una leggenda nera , con un saggio di Luciano Canfora, Carocci, pp. 382, euro 29,50) Domenico Losurdo opta per la seconda risposta. E' una tesi controcorrente e già per questo il libro è da leggere: opponendosi al "senso comune" prevalente fa pensare e induce a problematizzare ipotesi storiografiche che si danno ormai per acquisite.
Quale è l'idea di fondo di Losurdo? Le tesi interpretative del fenomeno staliniano che più hanno inciso - Trockij, Chruscev, Hannah Arendt - sono state determinate dalla lotta politica interna al campo comunista o dalla Guerra fredda. Da qui un «ritratto caricaturale» di Stalin che sottovaluta radicalmente il contesto concreto del suo operare. In questo contesto l'autore fa rientrare non solo la "lunga durata" della storia russa (i conflitti medioevali nelle campagne, l'odio per gli ebrei, il banditismo nato dalle carestie), non solo lo "stato d'eccezione" in cui si collocò l'esperienza sovietica, ma anche i lati deboli dell'ideologia marxista, un «universalismo incapace di sussumere e rispettare il particolare», le tendenze escatologiche che volevano abolire in tempo rapidi proprietà privata, nazione, famiglia, ecc.
Lo stesso Gulag si espande con la «collettivizzazione forzata dell'agricoltura». Come si spiegherebbe la cruciale svolta del '28-'29? Dopo il trattato di Locarno, il riavvicinamento Francia-Germania, il colpo di Stato di Pilsudski in Polonia, la rottura delle relazioni commerciali e diplomatiche da parte del Regno Unito, i militari sovietici lanciarono l'allarme: il pericolo di guerra aumentava, bisognava industrializzare e garantire la fedeltà delle campagne. Dopo la «notte di san Bartolomeo» (Bucharin) contro i contadini, Stalin avrebbe cercato di tornare alla normalità, tanto che Trockij nel 1935 lo accusò di «liberalismo» e di «abbandono del "sistema consiliare"», di «ritorno alla "democrazia borghese"». In effetti Stalin - per far decollare la produzione - si batte contro il «livellamento "sinistroide" dei salari», contro l'egualitarismo, e propugna una nuova Costituzione, come si sa poi rimasta sulla carta. Di nuovo irrompe infatti l'emergenza, e il terrore: Losurdo - che parte dall'esame di una letteratura internazionale molto amplia, e "anti-stalinista" - accredita il fatto che l'opposizione trockista fosse un "pericolo" reale ancora nella prima metà anni '30.
Dopo la guerra, ancora, Stalin dichiara che la dittatura del proletariato non era l'unica via al socialismo, non era obbligatoria nei paesi dell'Est europeo. Ma poi irrompe la Guerra fredda e la sicurezza nazionale dell'Urss riprende il sopravvento.
Di contro alla "cattiva" eredità dell'"utopismo" marxista Stalin impara dunque - per l'autore - la «vacuità dell'attesa messianica del dileguare dello Stato, della nazione, della religione, del mercato, del denaro, e ha altresì direttamente sperimentato l'effetto paralizzante di una visione dell'universale incline a bollare come una contaminazione l'attenzione prestata ai bisogni e agli interessi particolari di uno Stato, di una nazione, di una famiglia, di un individuo determinato». Ma - questo il suo limite per Losurdo - la lotta contro «l'utopia astratta» si ferma più volte a metà strada, per non entrare in totale rotta di collisione con alcuni degli assunti di fondo della cultura marxista e comunista. Insomma, nei tre decenni di "stalinismo" i ripetuti tentativi fatti da Stalin di abbandonare lo stato d'eccezione per tornare a una relativa normalità sarebbero stati frustrati sia dalla situazione internazionale, sia dall'utopia astratta presente nel marxismo, alimentata dall'opposizione interna. Con questa lettura di fondo, Losurdo dedica molte pagine a demolire la "leggenda" chruscioviana legata ai successi militari dell'invasore nazista; a sottolineare l'attenzione prestata da Stalin alle diverse "nazionalità"; a lodare il "realismo" stalinista a fronte delle tendenze di sinistra che volevano il superamento dello Stato, della famiglia, del denaro.
Losurdo riconosce e condanna la svolta brutale nel sistema concentrazionario che si ha nel '37. Ma sottolinea come nel Gulag sovietico non vi fosse volontà omicida, e dunque non sia possibile l'accostamento ai lager nazista: quando muoiono a migliaia nel Gulag, durante la guerra, muoiono di stenti a migliaia anche nel resto dell'Urss.
E' difficile seguire Losurdo, con la necessaria competenza critica, in tutte le pieghe del suo discorso. Alcune delle sue tesi (la critica al concetto di «totalitarismo», il rifiuto di considerare le decisioni del vertice sovietico come irrazionali, il richiamo al contesto storico) appaiono convincenti. Ciò che non convince è un discorso troppo portato a vedere sempre nella soluzione adottata la migliore delle soluzioni possibili e a sottovalutarne l'effetto disastroso sulla politica dell'egemonia (vedi la rottura dell'alleanza leninista operai-contadini) e nella costruzione stessa di una idea espansiva di socialismo. Si prenda ad esempio il Gulag: può uno Stato che si vuole socialista creare un sistema concentrazionario così vasto, in cui (anche se non sempre e ovunque) vi furono condizioni di vita - secondo le parole dello stesso Vysinskij, che Losurdo riporta - che ridussero «gli uomini "a bestie selvatiche"»? Non è già questo fatto una macchia indelebile per uno Stato che si voglia socialista? Non consola sapere che peggio fece - per fare un esempio - il Regno Unito con gli irlandesi o con i deportati in Australia: ciò che ci si aspetta da un sistema che fa dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo la sua legge non è giustificabile per uno Stato che nasce per combattere tale sfruttamento e tutto ciò che di "bestiale" vi è nell'umanità. E ancora: la situazione oggettiva aveva indotto a irrigidire l'organizzazione del lavoro, a rinunciare a un nuovo modo di intendere i rapporti tra i sessi, al superamento graduale dei limiti nazionali. Ma a questo punto non viene da chiedersi: valeva la pena di fare una rivoluzione? A cosa è servita? Credo di conoscere la risposta di Losurdo: enorme è stato comunque il sussulto di liberazione, milioni di persone si sono così liberate dal Medio Evo e dal colonialismo, in tutto il mondo. E' vero, e dunque viva la Rivoluzione russa! Ma sembra giusto anche concordare con quanto ha scritto Giuseppe Prestipino sull'ultimo numero di Critica marxista (2009/1): seguendo Losurdo arriviamo alla conclusione che nel '900 il socialismo era impossibile.
Resta la domanda se le scelte fatte nel corso del primo e fallimentare tentativo di costruzione del socialismo abbiano costruito almeno le basi per ritentare l'esperimento nel nuovo secolo o siano oggi un ostacolo in più per chi ci voglia riprovare. Da questo punto di vista lo storicismo giustificatorio di Losurdo - pur avendo alcune ragioni - sottovaluta la possibilità stessa di una alternativa rispetto all'effettivo svolgimento storico: un politico realista può anche diventare un mostro sanguinario, uccidendo così di fatto, ugualmente, la creatura che "con realismo" si propone di proteggere. E se ogni volontà di cambiare anche la qualità della vita quotidiana, i rapporti tra i generi e tra gli esseri umani, le gerarchie e l'alienazione dentro e fuori la fabbrica viene bollata come «utopismo escatologico e anarcoide», non si troveranno facilmente le forze, le volontà, le soggettività per riprendere il cammino.

Si vuole riabilitare
Stalin? Non ci stiamo

Ci ha molto amareggiato leggere ieri sulle pagine di "Liberazione" la recensione a un volume che definisce fin dal titolo come "leggenda nera" gran parte della storiografia esistente sulla vicenda storica e politica di Stalin. Recensione che si apre con l'apprezzamento del carattere «controcorrente», di opposizione al «senso comune» che renderebbe il volume capace di far «pensare». Recensione, poi, che quando passa ad assumere vesti "critiche" nei confronti del testo trattato, lo fa nella forma di "dubbi" del tenore seguente: «Può uno Stato che si vuole socialista creare un sistema concentrazionario tanto vasto...?». Come a dire d'un problema quantitativo, piuttosto che di sistema.
Di fronte ai milioni di morti che il sistema dei campi staliniani, la staliniana direzione della "pianificazione socialista" e la pratica staliniana delle purghe omicide degli stessi quadri rivoluzionari hanno lasciato dietro di sé, nella memoria collettiva del mondo intero e della cultura di sinistra in particolare, riteniamo che non ci sia nulla da aggiungere: non c'è interpretazione storica che tenga, piccoli o grandi tentativi revisionisti o negazionisti non possono riguardare la figura di un dittatore feroce e brutale. Oppure, viene da chiedersi, a quando una pagina intera di pubblicità gratuita, sotto veste di recensione "equilibrata", a testi di "rilettura", magari, delle gesta di Ceausescu o di Pol Pot?
Insomma: possiamo serenamente considerare chiuso il confronto su queste tragedie o dobbiamo davvero subirne "revisioni" addirittura apologetiche?
Se questo è ancora considerato da qualcuno come "il campo" della sinistra, o "dei comunisti", ci spiace: non ci stiamo. Queste vicende terrificanti e chi se ne è fatto interprete e animatore nel corso della Storia non possono appartenere, neppure in modo critico e "ragionato" ad alcuna ipotesi di liberazione. Non solo, riteniamo che pubblicare interventi che hanno al proprio centro ipotesi del genere, esplicite o inconscie - su questo come su altri temi -, che considerino come parte del confronto di idee tesi negazioniste (l'esistenza del negazionismo sull'Olocausto non esime certo dal giudicare quello sui crimini staliniani, proprio i "dibattiti" di Losurdo dovrebbero suggerirlo...) rappresenti un salto all'indietro. Specie per un giornale che aveva cercato fin qui di aprire spazi e di liberare energie, preferendo interrogarsi di continuo piuttosto che cercare rifugio nell'eterna riconferma di un'identità interpellata da una storia fatta anche, come indica proprio il caso di Stalin, di mostri e orrori.
Checchino Antonini, Angela Azzaro, Anubi D'Avossa Lussurgiu, Stefano Bocconetti, Guido Caldiron, Paolo Carotenuto, Simonetta Cossu, Carla Cotti, Sabrina Deligia, Laura Eduati, Roberto Farneti, Antonella Marrone, Martino Mazzonis, Andrea Milluzzi, Frida Nacinovich, Angela Nocioni, Paolo Persichetti, Paola Pittei, Sandro Podda, Stefania Podda

Non sono mai stato stalinista,
né uno "stalinista dell'antistalinismo"

Caro direttore, con vera sorpresa ho letto su Liberazione di ieri il documento di un gruppo di redattori che critica aspramente la mia recensione a un libro di Domenico Losurdo su Stalin pubblicata il giorno precedente. Vengo accusato, di fatto, di simpatie per lo stalinismo e per una sua presunta "riabilitazione". Penso che si tratti dell'ennesimo episodio di una storia che non mi appartiene, quella della guerra interna al Prc e più in particolare al suo giornale. L'evidente strumentalità del documento non ne rende però più accettabili i contenuti, che sono in gran parte una mera falsificazione di quanto ho scritto. Si arriva addirittura a fingere di non capire l'uso della "domanda retorica" nella lingua italiana! Non solo tutti i miei scritti e la mia storia personale testimoniano dell'assurdità di tale accusa. Anche nello scritto in questione niente può essere interpretato in tal senso: in esso - come si dovrebbe fare in ogni recensione - ho prima riassunto il libro, ho riconosciuto la serietà della ricerca (perché a mio giudizio così è: ma almeno anche uno solo degli scriventi lo avrà letto?), ne ho contestato infine, inequivocabilmente, l'impianto complessivo. Cosa avrei invece dovuto fare? Mettere insieme una sequela di insulti e pronunciare una scomunica? Mi dispiace, questo stile non mi appartiene, non sono né voglio essere uno "stalinista dell'antistalinismo". Sono uno "studioso appassionato" e come tale continuo a leggere, a riflettere, a dare un contributo - nell'ambito delle mie capacità - anche sulla "nostra" (di noi comunisti) storia più controversa. Non mi interessano le verità di partito proclamate una volta per tutte a chissà quale congresso. Preferisco la ricerca e le letture che mettono in dubbio certezze e danno luogo a un dibattito libero. Solo da questo confronto fra posizioni diverse una comunità scientifica o politica può avanzare verso un'opinione condivisa dai più. Invio a te e a tutti coloro che sono impegnati nel rilancio di Liberazione un sincero augurio di buon lavoro.
Guido Liguori

E' autoritaria la pretesa che vi siano
argomenti da mettere al bando

Dino Greco
Un gruppo di redattori di Liberazione ha sentito il bisogno di prendere carta e penna per contestare la recensione di Guido Liguori (vicepresidente dell'International Gramsci Society e caporedattore di Critica Marxista ) del libro di Domenico Losurdo, "Stalin. Storia e critica di una leggenda nera", apparsa su Liberazione venerdì scorso. I bersagli della lettera sono, palesemente, due: l'autore della recensione, imputato, nientemeno, di avere offerto eco ad una "revisione apologetica" della figura di Stalin; e il direttore del giornale che, corrivamente, ne ha autorizzato la pubblicazione. Risponderò, brevemente, tanto alla questione di merito, relativa cioè al contenuto della recensione, quanto alle ragioni, del tutto conseguenti, che mi hanno fatto considerare utile proporla ai lettori.
La contestualizzazione di un evento o, addirittura, di una lunga catena di eventi, prodotta con rigore filologico e attraverso una seria ed approfondita ricognizione delle fonti, dovrebbe essere un imperativo categorico per chiunque voglia criticamente e non ideologicamente (o propagandisticamente) ragionare sul passato e, in definitiva, sul presente. I guai cominciano quando la contestualizzazione si trasforma in uno storicismo assoluto, in un fatale (e letale) giustificazionismo, per cui quel che è accaduto, nel modo come è accaduto, non poteva che verificarsi così. Come se gli esseri umani portassero sulle loro spalle la Storia. La quale procederebbe per la propria strada, secondo una deterministica concatenazione di cause ed effetti. Per cui, se al posto di Stalin vi fosse stato qualcun altro, questi non avrebbe potuto fare alcunché di diverso, ecc.
Un simile modo di procedere produce un'apparente scientificità, che ha il vizio di essere sempre dedotta a posteriori, deresponsabilizzando gli attori, i protagonisti della storia umana. Così, ogni valutazione di ordine storico, politico e morale diventa impossibile. Credo che nessuno sia tanto sciocco da pensare che gli esseri umani si muovano, in ogni epoca e condizione, come "libertà assoluta". Ognuno opera "in situazione" ed è nel suo agire codeterminato da una quantità di fattori. Codeterminato, ma non coartato. C'è sempre - o quasi sempre - sartrianamente, una possibilità di scelta. Ed è questa scelta che permette il giudizio di valore.
Davvero singolare, dunque, che chi - come Losurdo - esalta il significato anche euristico della soggettività, della rottura antideterministica, "rivoluzionaria", delle condizioni storicamente date, cada poi nell'errore di dimenticarsene del tutto quando ci fa intendere che ben poco dei tragici avvenimenti capitati nella Russia staliniana avrebbe potuto avere un corso diverso. Come invece è provato dalla durissima, sanguinosa lotta interna attraverso la quale si affermò la dittatura. E, una simile contraddizione, alimenta il sospetto che, malgrado la grande messe di dati, circostanze, documenti citati, il lavoro di Losurdo sia, in fondo, un progetto a tesi.
Paradossalmente (ma poi non troppo), questo esasperato oggettivismo finisce per combaciare con la posizione opposta, ma simmetrica, secondo cui il difetto sta nel manico: l'uovo del serpente sarebbe cioè solidamente insediato nell'idea comunista, sin dall'origine, sin dal suo archetipo teorico, fin nel marxismo, passando poi attraverso tutta la vulgata delle esperienze storiche che in ogni punto del globo, da oriente ad occidente, da nord a sud, si sono incarnate nei decenni, fondandosi su quell'ispirazione. Insomma, il giustificazionismo non fa che offrire alibi a tutte le rimozioni (che non hanno mai favorito alcun progresso, in nessun campo) e a tutti i processi di sommaria liquidazione. Perché quando rimuovi, non capisci. E se non capisci non ti confronti davvero. Ti contrapponi. Con tutta la cieca determinazione che si mette nel non riconoscere - nell'altrui punto di vista - la porzione di verità che esso può contenere.
E' il vizio di tutti i fondamentalismi, di tutti i settarismi, di cui si nutre chi crede di custodire nel proprio scrigno tutto ciò che occorre sapere. Attenti dunque all'autoritarismo, alla pianta che rigogliosamente cresce quando si pretende che vi siano argomenti da mettere al bando, parole da inibire, colonne d'Ercole da non varcare...
Quanto alla recensione di Guido Liguori, il cui profilo culturale è notoriamente estraneo a qualsiasi contaminazione o suggestione stalinista, trovo del tutto incomprensibile come si possa ricavare dal suo testo una qualsiasi propensione "negazionista". Ne fa fede lo stralcio del suo commento al libro di Losurdo che ripubblichiamo qui accanto. Ai firmatari delle lettera, invece, che tanto in là hanno voluto spingersi nella loro requisitoria, vorrei ricordare che è difficile che si possa - cito dalla loro lettera - «interrogarsi di continuo» e, contemporaneamente, «considerare chiuso il confronto». «Consciamente o inconsciamente», mi pare si propenda per la seconda ipotesi. C'è tuttavia un punto, questo sì davvero indigeribile, eppur rivelatore, della lettera. Laddove si dice «a quando una pagina intera di pubblicità gratuita (...) delle gesta di Ceaucescu e di Pol Pot». Mi spiace: non ci sto. Non è consentito.

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