giovedì 27 agosto 2009

AUTOCONVOCHIAMOCI PER UN'OPPOSIZIONE RADICALE


Lettera aperta a:
ActiondirritinMovimento, Arci, Arcigay, Arcilesbica, AteneinRivolta.org, Attac, Carta, Confederazione Cobas, Comitato promotore 17 ottobre, Cub, Epicentro solidale, Facciamo Breccia, Fiom-Cgil, Global Project, L'Altro quotidiano, Liberazione, il manifesto, NodalMolin, NoTav, Patto di Mutuo soccorso, Prc, Pdci, Pcl, RdB, Rete 28 Aprile, Rete dei comunisti, Sdl, Sinistra e Libertà, Unione degli studenti, Uniriot (e a tant@ altr@ che abbiamo dimenticato).

Cari compagni e compagne,
la durezza degli attacchi del goveno alle condizioni di vita di lavoratori e lavoratrici, precari, donne, migranti è del tutto evidente. Le varie manovre e manovrette non solo non hanno mai avuto una finalità sociale ma si sono incaricate sempre di ridurre diritti acquisiti e di peggiorare il futuro di milioni di lavoratori e lavoratrici. A tutto questo l'opposizione parlamentare non dà alcuna risposta mentre il sindacalismo concertativo o è complice oppure sogna un'improbabile ritorno alla concertazione. E il governo può agitare qualsiasi minaccia sia essa quella del ritorno alle gabbie salariali, dell'introduzione di un vero e proprio stato di guerra, il massacro senza ritegno dei migranti per mare.
Tra le forze della sinistra di classe, diversamente collocate, non ci sembra ci sia divisione su questo. C'è difficoltà invece a elaborare una risposta unitaria che vada oltre i differenti, e legittimi, progetti politici e che sappia mettere in valore le diverse forze organizzate per coagulare una massa critica adeguata ai tempi. I temi su cui esercitarsi sono molteplici e tutti importanti: la crisi economica con le sue ricadute sociali, l'emergenza razzismo, gli attacchi costanti ai diritti delle donne, la devastazione ambientale, lo sperpero di "beni comuni", la guerra. L'organizzazione della manifestazione antirazzista del 17 ottobre costituisce certamente un passo positivo ma, anche per rafforzarne l'efficacia, possiamo andare oltre.
L'esperienza dell'Innse, in cui una forte resistenza operaia ha dimostarto che si può costruire una via d'uscita a sinistra, sia pure parziale, alla crisi, è lì a porci il problema della nostra efficacia collettiva.
Con questa lettera noi vogliamo rivolgere una proposta minima ma passibile di costruire una fase nuova. Lasciare sullo sfondo le nostre differenze di progettualità politica, in particolare il tema delle elezioni, per dare invece risalto a una risposta sociale che, in particolare, fronteggi la crisi e il razzismo, ma non solo. Una risposta non necessariamente univoca né legata ad eventi - tipo manifestazione nazionale o prossime scadenze elettorali - in grado di difendere diritti fondamentali - il contratto, la pensione, il ruolo pubblico dell'insegnamento - per provare a strappare conquiste - un salario sociale, un salario minimo, la moratoria sui licenziamenti - per provare a far giocare un ruolo a quel blocco sociale dimenticato, e che è maggioritario, costituito da lavoratori e lavoratrici, stabili o precari che siano.
Per questo proponiamo di autoconvocare, senza primogeniture, un incontro di tutta la sinistra politica, sociale e sindacale. Un incontro da svolgere al più presto, basato sulla condivisione che esiste un'emergenza sociale e che c'è bisogno di un'unità di classe la più ampia e più efficace possibile e depositario quindi di qualsiasi determinazione le nostre forze congiunte possono intraprendere.
Certi di una vostra risposta, nonostante le vacanze estive, vi inviamo i nostri più cari saluti.

Sinistra Critica
Il gruppo operativo nazionale
info: 3355341571

mercoledì 26 agosto 2009

La Delphi, la Bertone, Cosimi e Rossignolo




170 lavoratori senza più alcuna prospettiva lavorativa; 170 famiglie senza più alcun sostentamento e tutto questo purtroppo, grazie anche ad una gestione del nostro governo locale, delle istituzioni e dei sindacati a dir poco superficiale.
Già la scelta di puntare sulla produzione di Suv, quando i maggiori produttori e utilizzatori di questo prodotto, gli Americani, cambiavano strategia e puntavano sulla produzione di automobili non inquinanti e a basso costo, vista la crisi, ci era sembrata un pò…’azzardata.
Altrove…anche non molto lontane da noi, ad esempio a Firenze, si è intrapresa un’altra strada: l’Elettrolux, fabbrica di elettrodomestici con più di 350 lavoratori, si è riciclata in produzioni di pannelli solari…garantendo un prodotto utile ed il lavoro….
Come insegna la Innse si doveva percorrere la via del conflitto e della lotta, chiedendo la requisizione delle aree industriali e, con il sostegno dei lavoratori e della città, optare per produzioni rivolte al risparmio energetico o alla mobilità ecocompatibile.
Ma come si è potuto pensare o credere che il progetto Rossignolo, legato a doppio filo all'acquisizione della Bertone si potesse realizzare senza alcun contatto con le istituzioni e i sindacati torinesi e sopratutto con i lavoratori Bertone, anch'essi a rischio del posto di lavoro?
Come si è potuto pensare o credere che con il solo accordo di istituzioni, banche e sindacati locali, il tutto si potesse considerare fatto?
Ma la cosa ancora più incredibile è che oggi si mostrano tutti stupiti.
Quando l'imprenditore Rossignolo è uscito, in piena campagna elettorale, come un'ariete in favore di Cosimi sindaco, quelli “un po' malfidati” come noi, si sono detti: “se questo imprenditore si sbilancia così, forse deve politicamente qualcosa. Passate le elezioni forse avremo sorprese”.
E con Cosimi ormai sindaco la sorpresa è puntualmente arrivata:
-il progetto ex Delphi “a monte”;
-i 170 lavoratori con “il cerino in mano”

E ora, che fare?

-In primis continuare a garantire la copertura della cassa integrazione;
-lavorare a 360 gradi perché quelle aree non si tocchino, chiedendone la requisizione affinchè rimangano a destinazione industriale;
-individuare per quelle aree, interessi economici e produttivi nei settori emergenti legati alla difesa dell’ambiente e a produzioni di lunga prospettiva con l'obbiettivo di ricollocare tutti 170 i lavoratori.
12 agosto 2009
Sinistra Critica Livorno

martedì 25 agosto 2009

Ti renderesti mai complice di simili massacri?





Noa lo ha fatto!
Durante i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza dello scorso gennaio Noa ha scritto una "lettera aperta" ai palestinesi che si concludeva con l'augurio che Israele "possa fare il lavoro che tutti noi sappiamo deve essere fatto e finalmente vi liberi da questo cancro, da questo mostro che sia chiama fanatismo e che si chiama Hamas".
L’operazione “piombo fuso” ha causato centinaia di morti tra i palestinesi, migliaia di feriti e immani distruzioni. La Striscia di Gaza e’ tutt’ora assediata militarmente dall’esercito israeliano e secondo fonti dell’Onu la situazione umanitaria e’ al collasso.
Noa ama definirsi una “voce di pace”, ma appoggia le politiche criminali dello stato di Israele. Noa fa soldi presentandosi come un’artista che promuove la pacifica convivenza e contemporaneamente giustifica orrendi massacri. Noa e Mira Awad, rappresentando Israele a festival culturali, danno una parvenza di umanita’ ad uno stato che pratica l’apartheid ed il genocidio, Mira e Noa pubblicizzano un’Israele dal volto sorridente che in realta’ non esiste.
All'interno di Israele continuano le demolizioni delle case dei palestinesi, la pulizia enica a Gerusalemme e nei piccoli villaggi e nelle città. La Cisgiordania e’ rinchiusa nel muro dell’apartheid che Israele ha costruito in violazione alle risoluzioni dell’Onu e della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia.
Il governo israeliano, con leggi speciali che discriminano i cittadini arabi, vuole costruire uno stato etnico esclusivamente ebraico, in un delirio di onnipotenza che sta trascinando anche gli ebrei su una strada senza uscita. Lo scopo è l'espulsione finale dei palestinesi. Per fortuna c'è chi sta dicendo BASTA a tutto questo: la campagna di boicottaggio internazionale, promossa da organizzazioni della società civile palestinese e da gruppi di ebrei antisionisti di Israele e di altri paesi, si sta rafforzando anche in Italia, e contemporaneamente si diffonde la consapevolezza che l'unica strada praticabile e’ la fine dell'occupazione militare, la possibilità di ritornare per i profughi palestinesi e la creazione di un’entita’ politica laica e democratica in cui tutti possano convivere in pace.
Invitiamo tutti a boicottare Noa e tutti coloro che sostengono le politiche di occupazione militare e di apartheid che Israele impone alle popolazioni palestinesi.
Sostieni anche tu alla campagna di boicottaggio – disinvestimento – sanzioni contro lo stato di Israele, per la pacifica convivenza e la giustizia in Medio Oriente.

Campeggio di lotta antinucleare Fattizze-Nardo’, Sdl-Sindacato dei lavoratori (Puglia), Sinistra Critica, Comitato “Ricordare la Nakba”, Confederazione Cobas, International Solidarity Movement, Medicina Democratica (Brindisi), Collettivo salentino internazionalista “Dino Frisullo”, Rete 28 Aprile (Puglia)
S.i.p. via magellano 9, Cisternino (br)

Comunicato stampa Notte della taranta: con Noa va in scena l’ipocrisia del falso pacifismo


La cantante Israeliana Noa e' stata contestata durante la partecipazione alla Notte della Taranta il 22 agosto a Melpignano(Lecce). Noa, che si presenta come una "voce di pace", ha attivamente sostenuto l'operazione "piombo fuso" che Israele ha scatenato contro la Striscia di Gaza a dicembre scorso.
Questa sera alla Notte della Taranta si esibira’ la cantante israeliana Noa, che si autodefinisce una “voce di pace”, e cosi’ viene anche presentata durante le sue esibizioni in Italia. In realta’ Noa ha attivamente sostenuto i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza durante l’operazione “Piombo fuso”, che hanno causato oltre 1300 morti e migliaia di feriti tra gli abitanti di Gaza. Tra le varie interviste e dichiarazioni belliciste, Noa ha scritto una lettera “Ai miei amici palestinesi”, apparsa sul sito internet Ynetnews a gennaio scorso, che si concludeva con l'augurio che Israele "possa fare il lavoro che tutti noi sappiamo deve essere fatto e finalmente vi liberi da questo cancro, da questo mostro che si chiama fanatismo e che si chiama Hamas". Noa tace sul blocco militare che l’esercito Israeliano impone su Gaza, sul muro dell’apartheid che rinchiude i palestinesi della Cisgiordania, sulla pulizia etnica che le autorita’ israeliane compiono a Gerusalemme contro i palestinesi e sulla continua demolizione di case nei villaggi palestinesi. Gli spettacoli di Noa e Mira Awad, che hanno recentemente rappresentato Israele al Festival Eurovision 2009 di Mosca, vengono presentati come un auspicio alla pacifica convivenza, in realta’ mascherano la vera natura dello stato di Israele, basato sull’apartheid imposto alle popolazioni palestinesi. Ci chiediamo perche’ la direzione artistica della Notte della Taranta avvalli la complicita’ di Noa con i crimini dell’esercito di Israele. Ci chiediamo perche’ le amministrazioni pubbliche (Regione Puglia e Provincia di Lecce), finanzino questo evento senza prendere in considerazione il fatto che la presenza di Noa legittimi il regime di apartheid israeliano. Chiediamo alla direzione artistica della notte della taranta di dichiarare pubblicamente che artisti che promuovono la guerra e la violazione dei diritti umani non verranno mai piu’ ospitati al festival. La Regione Puglia ha nella primavera scorsa patrocinato un convegno (h2Obiettivo 2000, promosso da Federutility) al quale partecipavano diversi esponenti del governo di Israele. Non si possono intrattenere normali rapporti con uno stato che viola continuamente il diritto internazionale: chiediamo alla Regione Puglia di interrompere i rapporti economici, culturali o di altra natura con lo stato di Israele in quanto stato che pratica l’apartheid ed il massacro nei confronti dei palestinesi.

Campeggio di lotta antinucleare Fattizze-Nardo’, Sdl-Sindacato dei lavoratori (puglia), Sinistra Critica, Comitato “Ricordare la Nakba”, Confederazione Cobas, International Solidarity Movement, Medicina Democratica (Brindisi), Collettivo salentino internazionalista “Dino Frisullo”, Rete 28 Aprile (Puglia)

martedì 18 agosto 2009

"Da che parte stare". Su Erre, n. 34


Un po' in ritardo a causa di un problema tecnico, è uscito a fine luglio il numero 34 di Erre dedicato al tema migranti. "Da che parte stare" è infatti la copertina che affronta la questione del movimento contro il razzismo e per i diritti dei migranti, tra l'altro riportata in primo piano dalla convocazione della manifestazione nazionale del 17 ottobre. L'editoriale è dedicato alla mobilitazione iraniana schierandosi dalla parte degli studenti di Teheran.
Lo trovate in libreria oppure rivolgendovi a:
Edizioni Alegre, C.ne Casilina 72-74 Roma, redazione@edizionialegre.it

EDITORIALE
Con la rivolta iraniana (Salvatore Cannavò)

PRIMOPIANO

Si chiude un ciclo. Ora costruiamo una sinistra anticapitalista (Coord. naz. Sinistra Critica)

L'Europa in crisi e il voto alla sinistra anticapitalista (Francois Sabado)

L'Europa s'è destra... (Sara Farris)

INMOVIMENTO

Dal g8 un mondo multipolare e un movimento da ripensare (S. C.)

Fiat, la truffa Marchionne e il lavoro da difendere (Franco Turigliatto)

Capire la sconfitta per tornare in onda (Daniele D'Ambra e Tatiana Montella)

FOCUS
Da che parte stare? Da quella dell'autorganizzazione (red.)

Tempo di crisi, tempo di migranti (Emma Alia)

L'integrazione illusoria (Abdellali Hajjat)

IDEEMEMORIE
Il berlusconismo e la transizione autoritaria (Felice Mometti e Cinzia Arruzza)

Alla ricerca delle cause perse (F. M.)

Libreria - recensioni, analisi, commenti
CORRISPONDENZE
La città di Dov - Intervista a Dov Khenin (Luca Barbuto)

Sri Lanka, nessun futuro senza una soluzione politica (Danielle Sabai)

lunedì 17 agosto 2009

A proposito di unità e sinistra


(articolo pubblicato su Liberazione del 25 luglio)

di Salvatore Cannavò
Cari compagni e compagne di Prc, Pdci e Socialismo 2000, non siamo stati presenti alla vostra assemblea di lancio della Federazione della Sinistra Alternativa semplicemente perché non ufficialmente invitati. Saremmo venuti volentieri ad ascoltare e anche a intervenire dicendo a voi quello che andiamo ripetendo da oltre un anno e che costituisce uno dei punti del dibattito congressuale che Sinistra Critica ha appena avviato.
La fase attuale è contrassegnata dall’esaurirsi di alcuni cicli politici e storico-politici che conferiscono ai nostri tempi i caratteri di una profonda instabilità. Vecchi equilibri, convinzioni, strutture si sono deteriorate e/o estinte anche se nuovi equilibri non sono ancora all’orizzonte. Viviamo al tempo del “non più” e del “non ancora” ed è dentro queste coordinate che occorre mettere a punto le linee guida per una ricostruzione di una sinistra anticapitalista.
Perché di ricostruzione radicale oggi dobbiamo parlare, dopo la lunga fase della “rifondazione” e dei tentativi di ricomposizione di culture e organizzazioni diverse. Quel tentativo è fallito, le culture non si sono amalgamate e le organizzazioni oggi riprendono, ognuna, la propria autonomia anche se in condizioni più arretrate.
Viviamo quindi al tempo della ricostruzione della sinistra di classe e anticapitalista. Per farlo ci vorrà tempo e pazienza, non esistono più scorciatoie, appuntamenti elettorali salvifici o discussioni astratte sul contenitore migliore o sul simbolo più efficace. Si tratta squisitamente di un lavoro che verterà su due aspetti centrali: un’efficacia sociale per resistere alla crisi, alle destre, al capitalismo; una discussione a fondo, programmatica e culturale, per delineare gli assi fondamentali, capaci di reggere nel tempo, che devono caratterizzare la nuova sinistra necessaria.
La crisi della sinistra di classe pone il problema della sua ricostruzione. A questa ricostruzione noi ci accingiamo con l'apertura necessaria e con la centralità del dibattito attorno alle idee, ai contenuti, al profilo di fondo che una nuova sinistra deve avere. Il nostro progetto di fondo, infatti, resta quello di costruire un nuovo soggetto politico della sinistra anticapitalista con influenza di massa. Questo processo avverrà per salti qualitativi, soprattutto per la sua capacità di attrarre le nuove generazioni, per la convergenza di altre tendenze della sinistra anticapitalista, per la riattivizzazione di importanti settori di militanti dei movimenti sociali, dell’associazionismo diffuso e del movimento sindacale. Una forza politica militante, democratica e plurale in cui le diverse culture del movimento operaio possono convivere e fluidificarsi nella comune prospettiva di rottura con il sistema capitalista.
Per questo pensiamo che serve una grande discussione generale, aperta, pubblica, aspra, che faccia tesoro delle lezioni passate e che riannodi i fili a partire dalle idee e dai contenuti e non dalla discussione astratta sui contenitori; che non si nascondi dietro l’esigenza astratta dell’unità priva di progettualità; che non sottovaluti la capacità di fare fronte comune contro le destre e la crisi del capitalismo e contro i suoi effetti devastanti sul movimento operaio.
Non crediamo sia utile un generico appello all'unità delle sinistre, di unità è lastricata la via dei compromessi, dei moderatismi e, in un'ultima istanza, dei fallimenti. L'Arcobaleno insegna. L'unità ovviamente è importante ma lo è in funzione dei suoi contenuti e delle idee che mette in moto. Sarebbe davvero benvenuta una unità attorno a una battaglia comune contro il razzismo o per allargare i diritti dei lavoratori, una vertenza generale per il salario e contro i licenziamenti. Questa è l'unità di cui abbiamo assolutamente bisogno. Quello di cui invece non abbiamo bisogno è una discussione fondata sui contenitori, sulle tecniche di coordinamento delle sconfitte.
In realtà, ci sarebbe bisogno di un’unità in grado di generare partecipazione, autorganizzazione, di travalicare le forze stesse che innescano il processo. Nel nuovo ciclo che si è aperto, anche la ricomposizione più avanzata sarebbe insufficiente per risolvere il problema della ricostituzione di una forza politica all'altezza dello scontro. Per essere tale la ricostruzione ha bisogno del contributo di una nuova generazione militante. E quindi, per ottenere risultati positivi non servono assemblaggi, soprattutto se identitari e rivolti al passato, ma progetti, un discorso, un profilo, un'identità, una leadership collettiva che inneschi una reazione e una ripartenza.
Noi vogliamo proporre, quindi, non solo alle sinistre politiche ma anche a quelle sociali e sindacali, di progettare una iniziativa unitaria e prolungata contro il razzismo e la crisi in grado di cogliere la connessione tra razzismo istituzionale, sfruttamento dei migranti, licenziamenti e peggioramento di vita dei lavoratori e delle lavoratrici. Una iniziativa, magari una Campagna, da discutere alla pari, in forma orizzontale, senza primogeniture, autoconvocando un appuntamento comune, allargandolo il più possibile a strutture territoriali in modo da poterlo replicare poi su scala locale. Una iniziativa che rappresenti un punto di vista alternativo e che provi a strappare qualche risultato, a invertire la tendenza alla demoralizzazione.
Ma a questo percorso serve una seconda condizione: per essere davvero alternativa al Pd e alla sinistra moderata - perché esistono ancora diverse sinistre e non vederle è l'ennesimo, grave, errore di analisi - occorre semplicemente essere alternativi fino in fondo. A volte quel 5% di cose che ci dividono, per citare Paolo Ferrero, è la non piccola questione se occorre governare gangli importanti della gestione capitalistica come le Regioni o le Province o le grandi città. Se occorre condividere, sia pure "riducendo il danno", ristrutturazioni e tagli alla spesa, opere antiecologiche e via dicendo. Su questo punto, la discussione non è compiuta: noi parliamo di "elogio dell'opposizione" come viatico per ricostruire davvero una sinistra anticapitalista in grado di strappare conquiste e anche "riforme" ma soprattutto di porsi il problema della rottura con questo sistema sociale; altri pensano a una più tradizionale via di riforme progressive in cui l'opposizione di oggi serve solo a rafforzarsi in vista di un governo "delle sinistre" del domani in ossequio a una logica del "compromesso" più o meno dinamico - ma la cui sostanza è l'ipotesi di governare con la borghesia "progressista" - che non è stata mai dismessa finora. Al di là degli scontri congressuali, questa discussione di fondo, programmatica e strategica, non l'abbiamo mai fatta e questa discussione rinvia esattamente alla natura della sinistra che vogliamo costruire. Nodo centrale per poter reimpostare un percorso che non si esaurisca al primo intoppo o alla prima vera prova del fuoco.

"HIC SUNT LEONES": COSA CI DICE LA VITTORIA DELL'INNSE


di Roberto Firenze
Una storia di protagonismo e coscienza di classe di un gruppo di lavoratori combattivi. E anche un'esperienza di unità di militanti politici, sindacali e associativi che andrà certamente ripetuta. A partire dal coordinamento delle aziende in crisi.

I lavoratori della INNSE hanno vinto. Dopo 14 mesi di lotta, tre mesi di autogestione, tre sgomberi, l’ultimo il 2 agosto scorso, un presidio permanente prima dentro la fabbrica - o quello che ne rimane - poi all’esterno, fino alla iniziativa clamorosa della “occupazione” del carroponte alto 12 metri all’interno del capannone con i macchinari svenduti da padron Genta; un gruppo di lavoratori coraggiosi e testardi e una Rsu decisa e combattiva hanno piegato ,insieme all’ottusità e alla violenza di un padrone rottamatore, il silenzio complice – fino all’ultimo minuto possibile - delle istituzioni locali e la complicità effettiva – con il padrone - della destra leghista lombarda, quella di Castelli, Lunardi e Maroni.
L’accordo raggiunto nella notte tra l’11 e il 12 agosto stabilisce da una parte l’acquisizione dell’area dove è ancora insediato il sito produttivo da parte di Camozzi, grande industriale bergamasco che produce macchine utensili e che ha recentemente allargato le proprie attività negli Stati Uniti; e dall’altra un accordo sindacale che garantisce la riassunzione di tutti i 49 lavoratori da parte del nuovo proprietario, un piano industriale che prevede possibilità di sviluppo occupazionale - come avevano sempre sostenuto i lavoratori dell’INNSE - la riapertura dello stabilimento il primo di ottobre,un periodo di cassa integrazione straordinaria nella fase di verifica del piano industriale e di riattivazione della produzione, l’accesso alla pensione per alcuni lavoratori in mobilità che hanno i requisiti necessari soltanto su base volontaria.
Gli ultimi scogli prima della conclusione sono stati la “monetizzazione” crescente da parte di padron Genta, poi risoltasi di fronte ad un ultimatum di Camozzi, sostenuto da un prefetto irritato di fronte all’atteggiamento da “rialzista” al tavolo di trattativa da parte del “rottamatore” leghista; e un rischio di utilizzo da parte di Camozzi – il cui consulente aziendale al tavolo era un certo Maurizio Zipponi… - del passaggio dalla mobilità alla pensione per alcuni lavoratori tra i più combattivi dell’ INNSE non su base volontaria e come modalità per effettuare una “scrematura”al momento dell’acquisizione nel gruppo di operai che ha resistito per 14 mesi .
Ma i lavoratori della INNSE a partire dai cinque “gruisti” hanno definito con chiarezza, nel momento cruciale,incontrando la delegazione Fiom che stava seduta al tavolo in Prefettura, quali erano le loro proposte e le loro condizioni per siglare un accordo positivo e scendere così dal carroponte.
La lotta della INNSE al di là del numero di operai coinvolti e delle dimensioni di quell’azienda,un “residuo” di quella che era in altri tempi la Innocenti Sant’Eustachio di Milano, ha avuto nell’ultima fase un impatto molto forte su una città stordita dal caldo di agosto e dall’opprimente egemonia leghista berlusconiana, aggravata da una sinistra socialmente sradicata e priva di una qualunque capacità di iniziativa e di risposta significativa.
Un impatto tanto più importante in una realtà, quella di Milano e provincia letteralmente devastata nell’ultimo anno da una ondata di Cassa Integrazione con pochi precedenti e con moltissime aziende che stanno chiudendo e stanno licenziando - e per questo sono presidiate dai lavoratori: la LARES, la Metalli Preziosi,l’Ercole Marelli, la Nokia Siemens e tante altre.
Lo sgombero del 2 agosto,improvviso e brutale è stato come una scossa su un pezzo di sinistra che ancora abita in questa città intorpidita dall’egoismo sociale dominante.
Il presidio che già era presente all’INNSE ha visto affluire dal mattino prima decine, poi alcune centinaia di giovani, di militanti sindacali e delegati - della Fiom prevalentemente, ma anche di sindacati di base-militanti della sinistra e dei Centri sociali,studenti…
Il presidio è diventato una Assemblea aperta e permanente che discuteva della lotta in corso e di tante altre cose… Il presidio era assolutamente unitario, si beveva,si mangiava, e si discuteva e litigava… ma quando c’era da fronteggiare la polizia e i carabinieri che militarizzavano tutta la zona la risposta era di tutti e tutti insieme. Alla INNSE- non so se era giusto o sbagliato,ma era così - non c’erano banchetti di partito con le loro bandiere, ma bandiere sindacali della Fiom, striscioni di Rsu, di centri sociali e tante bandiere della Rsu INNSE.
Le decisioni erano prese dagli operai dell’INNSE insieme alla delegazione Fiom e poi trasmesse all’intero Presidio. L’iniziativa di entrare nella notte del 4 agosto per occupare il carroponte e drammatizzare la vicenda, seguita dallo sciopero di due ore proclamato sul piano provinciale dalla Fiom, ha rilanciato ulteriormente la mobilitazione intorno alla INNSE e ha conquistato a quella lotta una visibilità nazionale importante.
Il presidio diventava notte e giorno un appuntamento per centinaia di persone, un momento di solidarietà e partecipazione alla vicenda di un gruppo di operai dignitosi e combattivi che era vissuta come un’occasione per dire “basta”, dobbiamo tornare a lottare e a vincere. Il presidio diventava anche un momento di socialità in un pezzo di città desertificata dalla deindustrializzazione; dal Presidio si partiva per compiere piccole azioni di disturbo del traffico, di mobilitazione davanti alla Prefettura o davanti alla stazione ferroviaria di Lambrate. La solidarietà nei confronti di quegli operai testardi, che non si volevano rassegnare a scomparire, era visibile in quella zona, in centro e in tanti luoghi di lavoro dove si tornava a guardare con una certa attenzione ad una esperienza di lotta che forse poteva vincere e forse poteva dire qualcosa a tanti di più.
E quella lotta ha vinto; la sera dell’11 agosto via Rubattino, cimitero industriale, periferia squallida, polverosa e degradata, ha visto una festa popolare con fumogeni, mortaretti e cori da stadio che hanno salutato i “cinque gruisti” nel momento della loro uscita dall’azienda. Quella sera uno striscione è stato preparato e fa bella mostra di se’ davanti alla fabbrica, dice: “Hic sunt leones”.
Non è solo la retorica di chi ha vinto dopo anni di legnate sulle spalle.
E’ un modo “popolare” e magari un po’ enfatico di sottolineare uno degli ingredienti di questa esperienza di lotta: la combattività e la tenacia, insieme alla lucidità e alla capacità di iniziativa di un piccolo gruppo di operai e delegati sindacali Fiom, con una loro forte radicalità e una altrettanto - magari discutibile…- loro “politicità”.
Questo per dire che quegli operai hanno vinto perché esprimevano una loro soggettività di classe che gli ha permesso di resistere per 14 mesi, quasi da soli, con il sostegno di gruppi di amici e di giovani solidali con la loro lotta. Da questo punto di vista il ruolo della Fiom, a cui sono iscritti e il cui sostegno hanno sempre rivendicato, c’è stato ma è arrivato tardi, ha fatto un salto importante sull’onda della drammatizzazione determinata dall’ultimo sgombero e di una consapevolezza che nel gruppo dirigente locale e, credo, nazionale della Fiom si è a quel punto fatta strada: alla INNSE non si poteva perdere. Perché era concretamente possibile vincere la partita con il padrone e perché vincere lì, con la contraddittorietà di un accordo il cui percorso di applicazione non sarà indolore - perché padron Camozzi non è un benefattore - ma che comunque mantiene occupazione e attività produttiva, voleva dire poter ripartire a settembre, nel conflitto sociale che si produrrà, con uno stato d’animo diverso.
La INNSE ci dice anche alcune altre cose, che riassumo qui brevemente, ma che meriterebbero qualche minuto di riflessione.
Ci dice di un capitalismo milanese proiettato sulla speculazione sulle aree urbane di quella “città metropolitana” in vista dell’Expo 2015 e che,per fare profitti - forse - con il mattone sceglie di sacrificare una “nicchia produttiva” ancora importante per i propri assetti in questo territorio come quella delle macchine utensili.
Ci dice di una lotta che vince proprio perché radicale nelle sue forme di iniziativa e chiarissima nei suoi obiettivi.
Ci dice di operai che sono arrivati ad occupare una fabbrica e per tre mesi - prima dello sgombero iniziale - l’hanno fatta funzionare in autogestione, hanno trovato ordinativi e hanno gestito fornitori. Vuoi vedere che forse gli operai possono lavorare e produrre SENZA PADRONE?
Ci dice di giovani militanti con le loro “strane“ aggregazioni e abitudini che hanno fatto picchetti all’alba e hanno riscoperto che si può lottare per difendere una fabbrica. Vuoi vedere che “l’unità operai-studenti-tutti gli altri che volete voi” è ancora praticabile?
Ci dice di una lotta che ha scoperto strade per affermare i propri obiettivi che sembravano dimenticate: per esempio rivendicando la possibilita’ per gli Enti locali di REQUISIRE un’area e intervenire sulla sua destinazione d’uso…
La lotta dell’INNSE ci dice anche come potrebbe essere affrontato l’autunno che arriva: con il coordinamento delle aziende in crisi, per definire una piattaforma comune, degli obiettivi e delle modalità di azione condivisa. Ci dice del legame, nella crisi, tra difesa del posto di lavoro e necessità di intervenire sugli assetti proprietari con proposte di riorganizzazione della produzione in funzione delle esigenze operaie e non del profitto aziendale.
Ci dice quindi del valore dell’unità d’azione tra militanti sindacali, politici e associativi senza “retropensieri” e settarismi,ciascuno con la propria appartenenza valorizzare ma disponibili a mettere al centro delle proprie preoccupazioni, in quel momento, le ragioni di quella lotta. E ci parla del valore delle assemblee generali in cui si discute e si decide. Perchè in fondo quel Presidio a questo assomigliava, ad una istanza di democrazia partecipativa in cui erano loro,gli operai coinvolti, e non altri, a decidere…
Vuoi vedere che si potrebbe fare anche da qualche altra parte?

Roberto Firenze un testimone di una vicenda importante, quella che in altri anni si sarebbe chiamata “una storia operaia”.

Milano 12 agosto 2009.

INNSE, LA FABBRICA E' SALVA. GLI OPERAI GRIDANO VITTORIA
È stato raggiunto, pochi minuti dopo mezzanotte, l'accordo per l'acquisto della Innse di Milano da parte di una cordata di imprenditori lombardi guidata dal gruppo Camozzi di Brescia. Un passaggio di mani che ha trovato il via libera di Silvano Genta proprietario dello stabilimento di via Rubattino, di Aedes la società proprietaria dell'area e dei sindacati pronti a garantire il mantenimento del livello occupazionale. Un'intesa che ha convinto i lavoratori a terminare la protesta: dopo otto giorni i quattro operai e il funzionario sindacale sono scesi dal carro ponte su cui si erano arrampicati per evitare la chiusura della Innse. «Ora ci sentiamo bene, la riapertura della Innse non sarà semplice, ma ora non ci fa paura più niente». Sono le prime parole di un dei «gruisti» che hanno brindato nella notte, fuori dai cancelli di via Rubattino. Ad accoglierli i familiari, ma anche gli applausi dei colleghi che, per giorni, hanno continuato a presidiate l'ingresso protetto da un cordone di poliziotti e carabinieri. Soddisfazione viene espressa da tutte le parti sedute al tavolo: dal prefetto Gian Valerio Lombardi, ai vertici del sindacato nazionale e lombardo. L'accordo garantirebbe la riassunzione immediata di tutti e 49 gli operai che, dal maggio 2008, sono stati messi in mobilità e che da allora non hanno mai smesso la loro protesta. Una compravendita, il prezzo si aggira sui 4 milioni di euro, con la quale il gruppo acquirente entra in possesso di tutti i macchinari presenti nella fabbrica e con cui si impegnerebbe a far ripartire, a breve, l'impianto. (Afe/Zn/Adnkronos)

Siamo con loro perché la loro lotta è globale contro chi vuole sfruttare i lavoratori

Una fabbrica non è un bene comune. E' un luogo in cui degli individui
vengono rinchiusi otto ore al giorno (se va bene) e dove si realizza uno spaventoso trasferimento di forze, di energie, di creatività e di inventiva, attraverso il quale il capitale valorizza se stesso succhiando la vita dell'operaio.
La fabbrica è fondata sul diritto di proprietà, sul diritto del padrone di sfruttare i lavoratori: tutti uguali di fronte alla legge, che però manda la polizia sempre e soltanto a difendere gli interessi di una parte.
Ma la fabbrica è anche il luogo in cui gli individui si trasformano, diventano altro rispetto a quello che erano prima di entrarvi: e lo diventano opponendosi quotidianamente allo sfruttamento, in nome di una lotta questa sì comune, questa sì produttrice di nuove energie, di nuove forze, di nuova inventiva. Si tratta della lotta che unisce i lavoratori della Innse, ai lavoratori francesi della New Fabris, ai lavoratori coreani della Ssangyong Automobili. La crisi è internazionale, le lotte pure, ma ancora senza quell'organizzazione comune che il capitale si sta invece cercando di dare.
Agli operai della Innse non mancano le energie, e non manca l'inventiva. Non per difendere un inesistente bene comune, non per difendere il diritto ad essere sfruttati, ma per affermare la loro autonomia rispetto alle logiche dello sfruttamento capitalistico - sia quando esse si nascondono dietro l'ipocrisia della valorizzazione delle risorse umane, sia quando mostrano la faccia più feroce (ma più vera) del totale disinteresse per l'esistenza degli operai.
L'eccellenza della Innse è certamente anche nella sua qualità produttiva, frutto delle mani e del cervello di chi vi ha dedicato una vita; ma è anche e soprattutto nella consapevolezza dei 49 operai della partita politica che si sta giocando sulla loro pelle, che è evidentemente anche la nostra pelle: la partita che vede ancora una volta un padrone pretendere di decidere della vita altrui senza che nessuno muova un dito. Questa consapevolezza è il bene comune che bisogna difendere, con la determinatezza richiesta dalla posta in gioco.

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Devi Sacchetto - Università di Padova
Massimiliano Tomba - Università di Padova
Stefano Visentin - Università di Urbino
Luca Basso - Università di Padova
Mauro Farnesi - Università di Padova
Augusto Illuminati - Università di Urbino
Ferruccio Gambino - Università di Padova
Riccardo Bellofiore - Università di Bergamo
Davide Bubbico - Università di Salerno
Giovanna Vertova - Università di Bergamo
Felice Mometti
Cinzia Arruzza - Università di Bonn
Gianfranco Quiligotti Jeff
Andrea Cremaschi - Università di Milano
Daniele Balicco - Università di Siena