lunedì 21 settembre 2009

Salvaguardia costituzionale. Dal Prc una proposta politica che rispolvera vecchie concezioni e ripropone la sudditanza al Pd


Salvatore Cannavò
Dal dibattito interno del Prc, così come riscontrabile dal suo Comitato politico nazionale chiusosi domenica, emerge una nuova formula politica, tra le tante cui ci ha abituati la politica italiana. "Legislatura di salvaguardia costituzionale" è la proposta che il segretario, Paolo Ferrero, ha proposto al massimo organismo del Prc e che questo ha approvato (tra l'altro rinnovando la segreteria nazionale con l'ingresso di due esponenti della mozione 2, gli ex "bertinottiani" non usciti dal partito, fatto che ha provocato le dimissioni dalla segreteria stessa di Claudio Bellotti, esponente di Falce e Martello). Si trattadi una proposta avanzata a tutta l'attuale opposizione, da Rifondazione fino all'Udc, per un patto di legislatura a termine incaricato di modificare la legge elettorale in senso proporzionale e dare finalmente vita a una legge sul conflitto di interessi. La stessa proposta era stata già avanzata dallo stesso Ferrero in un'intervista all'Unità di qualche mese fa e poi riproposta in un articolo di Liberazione della scorsa settimana.

La proposta dice che Rifondazione è disponibile a un accordo, anche con l'Udc, per dare vita a una legislatura di breve respiro, giusto il tempo di fare le due cose suddette. Questo presuppone quindi che in caso di elezioni anticipate il Prc è disponibile a fare un'alleanza, sia pure elettorale, non solo con il Pd ma anche con il partito di Casini e Buttiglione.
Sul suo blog, spesso utile per capire un po' del dibattito interno a Rifondazione, Ramon Mantovani spiega questa posizione in modo molto chiaro: noi non vogliamo fare più accordi di governo con il Pd ma il nodo dell'antiberlusconismo si pone obiettivamente e come al solito rischia di stritolarci. Quindi, dice Mantovani, fare un accordo elettorale che ha come contenuto la rottura del bipolarismo, che è il vero male della democrazia italiana, ci consente di dare una risposta positiva alla domanda su come cacciare Berlusconi e ci permette, in prospettiva, di emanciparci dall'annosa questione dell'alleanza "frontista" in chiave antiberlusconiana. Si può essere d'accordo o meno con la proposta, dice Mantovani, ma questa è limpida ed efficace.

A noi, onestamente, sembra di assistere a un vizio molto in voga al tempo della segreteria Bertinotti: di fronte alla morsa dell'antiberlusconismo, che esiste ovviamente, e al problema di un quadro politico che pone al centro della scena la possibile - ma soprattutto auspicata - cacciata del "puzzone", Rifondazione inventa una formula politica per cercare di salvare capra e cavoli e non fare i conti non solo con la realtà obiettiva ma nemmeno con sé stessa e il suo passato.
Un accordo di legislatura, per quanto breve, è un accordo che prevede il sostegno a un governo che, giocoforza, non può fare solo la riforma della legge elettorale. Per lo meno deve fare una Finanziaria, deve rivotare le missioni di guerra, affrontare il nodo dei diritti civili, tutte cose già viste con il governo Prodi. Pensare poi che una legge elettorale nuova fatta con Bersani, Casini e Di Pietro possa salvare una forza della sinistra di classe rischia di essere illusorio. A meno di non contare sul fatto che i propri voti, in quel nuovo Parlamento, siano così determinanti da pesare sull'esito del compromesso elettorale. Ma, appunto, significherebbe essere di nuovo ricondotti nel tritacarne delle mediazioni e dei compromessi su cui Rifondazione, e i suoi ministri, non sembra siano stati particolarmente abili.
Il fatto è che la proposta, avendo un alto tasso di politicismo, è viziata da quest'ultimo e non fa i conti con la realtà. Non fa i conti con il berlusconismo che è oggetto complicato battibile solo con una lunga e tenace battaglia sociale e culturale che, innanzitutto, deve poter poggiare sul protagonismo delle persone in carne e ossa e non sulle "mosse" di palazzo. Può sembrare naif e avere scarsa visione politico-istituzionale, ma la nostra idea resta quella di un'ampia mobilitazione sociale che, negli ultimi quindi anni, ha rappresentato l'unico fatto capace di battere Berlusconi e i suoi governi. Prima, nel 1994, con la mobilitazione contro la riforma delle pensioni - salvo farla poi con il governo Dini - e poi, tra il 2001 e il 2006, con una stagione di conflitto e movimenti del tutto inedita. E se Berlusconi nel 2006 ha potuto recuperare fino allo scarto dei 24mila voti è anche perché un anno prima, sia Prodi che Bertinotti - e tutta la sua maggioranza - hanno rifiutato l'ipotesi della spallata per arrivare a elezioni anticipate.
Berlusconi, che piaccia o meno, che ci voglia tempo o meno, lo si batte solo così. Il resto è tempo perso, manovra parlamentare buona per un gioco politico che non interessa ai più.
Una mobilitazione sociale che produce la caduta di Berlusconi può aprire la strada a un governo "centrista" o istituzionale o quant'altro si prevede in questi giorni? Non è certamente con il contributo minimale di una sinistra radicale che si sventa questo rischio. I rapporti di forza oggi in Italia sono quelli che sono e per riequilibrarli in senso classista occorrerà tempo, fatica e soprattutto una capacità di pensare l'opposizione sociale e politica che la sinistra oggi esistente, nelle sue formazioni più rilevanti, non sa più fare, avvezza com'è all'ipotesi del governo o della presenza istituzionale. Un'opposizione che oggi si confronta con l'attuale destra e che domani potrebbe doversi confrontare con una destra più raffinata e intelligente ma non meno pericolosa socialmente come dimostrano tutte le proposte politiche del Pd in tema di lavoro. A meno di non nutrire ancora speranze sul Pd. Nel suo intervento in Direzione, Alberto Burgio - colui che sulle pagine di Liberazione è riuscito a giustificare la "necessità" del patto Ribbentrop-Molotov - ha definito l'ipotesi di un governo di destra senza Berlusconi come quella che «determinerebbe per noi un quadro problematico perché su tale ipotesi potrebbe esserci il consenso o la benevola astensione del Pd». Perché problematico? La questione italiana si incardina ormai da anni sulla possibilità che alla sinistra del Pd, e in piena autonomia da esso, si costruisca una forza politica indipendente e legata al conflitto di classe e se il Pd, in ossequio alla propria natura, decide di stare in governo con Casini o addirittura con Fini, non c'è molto da preoccuparsi.
La "legislatura di salvaguardia costituzionale" è dunque una formula che non sembra restituire un'analisi seria e un bilancio rigoroso di quanto accaduto recentemente nella sinistra italiana e, in fondo, assomiglia alle varie formulazioni che la sinistra storica ha via inventato nel corso dei decenni, da Togliatti in poi. Niente di nuovo sotto il sole.

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