sabato 19 dicembre 2009

Resoconto dell’assemblea conclusiva di “Andata e ritorno dall’autunno del 2009 all’autunno caldo del 1969”


Si è conclusa il 10 dicembre con l’ultima assemblea dedicata a “La Fiat, come era, come è cambiata come è oggi” il ciclo di incontri di Sinistra Critica di Torino “Andata e ritorno dall’autunno del 2009 all’autunno caldo del 1969”, quattro seminari per riflettere sul passato, ma anche per affrontare il presente della lotta di classe.
Molto riuscito anche l’ultimo dibattito, svoltosi nel popolare centro di incontri di via Negarville a due passi dalla Meccanica due di Mirafiori, 40 anni fa espressione della gigantismo della città-fabbrica che continuava ad espandersi, oggi desolatamente inattiva con molti cancelli che si stanno arrugginendo. Folta la partecipazione di operai di ieri e di oggi delle carrozzerie e delle meccaniche, ma anche della vecchia Lancia e di altri comparti della Fiat oggi venduti o esternalizzati, (ma alcuni sono in fase di reinserimento nel gruppo). Serrato ed appassionato il dibattito che è stato preceduto dalla proiezione di due film emblematici della grande lotta dell’80 conclusasi con una dura sconfitta, un vero e proprio spartiacque dello scontro di classe nel nostro paese: Fiat autunno ’80 di Pier Milanese e Pietro Perotti che ripercorre i 35 giorni di lotta e Signorina Fiat di Giovanna Boursier che racconta la storia d’amore di una impiegata Fiat di Torino con l’azienda, la sua partecipazione alla marcia dei capi e poi il suo licenziamento durante la ristrutturazione del 93 con l’espulsione di 3.000 impiegati, che la obbliga a ritornare indietro col pensiero e capire quel che non aveva voluto capire tredici anni prima.
Piero Perotti delegato delle meccaniche ha ricostruito le lotte di quegli anni insistendo in particolare sul fatto che i lavoratori non avrebbero mai dovuto delegare all’apparato sindacale la direzione del movimento. Dobbiamo alla sua intuizione di filmare quanto avveniva intorno alla fabbrica e al suo impegno personale le straordinarie immagini delle lotte Fiat. Iole Vaccargiu ha ricostruito la storia militante e sindacale delle lavoratrici e dei lavoratori della Lancia, la chiusura dell’azienda di Chivasso e il suo passaggio alle Presse di Mirafiori dopo alcuni anni di cassa integrazione. Pasquale Loiacono e Ugo Bolognesi, oggi delegati sindacali Fiom alle Carrozzerie di Mirafiori, hanno raccontato le difficoltà della lotta di classe in questo periodo, i pochi momenti isolati di mobilitazione, e come sia difficile ricostruire l’unità e la lotta dei lavoratori. Pietro Passarino, della segreteria Fiom ha posto l’accento sulla difesa del contratto nazionale e sul significato della battaglia congressuale nella FIOM. Giorgio Carlin ha ricordato come la Rai regionale abbia raccontato e affrontato le lotte della Fiat. Altri compagni ancora si sono soffermati sulle tante lotte in corso per l’occupazione.
Ma al centro di tutti gli interventi è stato il problema, anzi la domanda avanzata da Franco Turigliatto nella breve premessa iniziale e ripresa nelle conclusioni: “Perché si è perso? Era sconfitta inevitabile, oppure vanno tirate in ballo le scelte delle forze politiche e sindacali? Perché il consiglione della Fiat approva all’unanimità la mozione presentata da Rocco Papandrea che boccia l’accordo capestro firmato dalle Confederazioni, ma non riesce a proporsi come direzione alternativa?
Raffello Renzacci in un capitolo centrale del Libro “100 anni di Fiat” sviluppa una convincente analisi delle difficoltà in cui si trovava la direzione Fiat e come la partita fosse ancora del tutto aperta nei giorni decisivi riportando anche la testimonianza dei dirigenti Fiat, che hanno confessato di non essersi aspetto una resa così aperta da parte delle direzioni sindacali centrali.
Vi sono poi tre intepretazioni fondamentali delle ragioni della disfatta
Da un parte coloro che ritengono che la sconfitta e la sua gravità siano dipese dall’estremismo del movimento sindacale, da una frattura che si sarebbe determinata tra lavoratori militanti e politicizzati e la grande massa dei lavoratori.
Una seconda interpretazione, quella di Revelli in particolare, fa risalire le ragioni della sconfitta a una sorta di piazzamento tecnologico della classe operaia. Gli operai che avevano utilizzato la rigidità della catena di montaggio per costruire la forza delle loro lotte e il proprio ruolo rivoluzionario, vengono progressivamente disorientati dai processi di ristrutturazione tecnologica , per cui la sconfitta risulta essere il frutto delle innovazioni produttive dell’azienda, su cui la classe operai non ha più la precedente possibilità di intervento.
La terza interpretazione ritiene che a decidere degli avvenimenti politici in ultima analisi sialo scontro di classe, scontro sociale e politico, proprio quello a cui la Fiat si preparò (politicamente) e a cui i lavoratori arrivarono invece impreparati politicamente e diretti da forze politiche e sindacali che con l’EUR si ponevano all’interno delle esigenze del sistema capitalista e che ritenevano giunta l’ora di porre fine al periodo apertosi col 68-69. Per riprendere il testo di Renzacci: “I settori della sinistra classista tendevano a riprodurre i vecchi modelli rivendicativi od ad arroccarsi sulla difensiva. Nella vicenda dei 35 giorni hanno infine trovato uno sbocco gli errori e l’incapacità soggettivi accumulati sia alla Fiat che sul piano generale nel corso di un decennio, ad esempio: l’incomprensione di gran parte della sinistra classista del ruolo dei delegati e della necessità di rafforzare i consigli di fabbrica come soggetto indipendente dalle organizzazioni sindacali, la sconfitta dei delegati e della sinistra sindacale nel portare a termine il percorso di unità sindacale organica, almeno della Flm, l’incapacità della sinistra sindacale di rappresentare un’alternativa credibile rispetto all’involuzione moderata del movimento sindacale a partire dal 1977, il fallimento delle esperienze della sinistra rivoluzionaria che nel corso degli anni hanno bruciato o lasciato allo sbando tantissimi quadri operai”.
Per questo il consiglione si oppone, ma risulta impreparato e incapace a prendere nelle sue mani il destino del movimento dei lavoratori.
Ma proprio questa ricostruzione di quel passato ha spinto l’assemblea nella parte conclusiva di ritornare al presente, sottolineando la necessità, per costruire una resistenza efficace alle politiche di governo padroni, che i sindacati e militanti sindacali che rifiutano di essere complici dei padroni prendano una iniziativa unitaria per una assemblea di tutte le fabbriche della provincia e della regione che sono colpite dalle ristrutturazioni o sotto minaccia di chiusura, per costruire una piattaforma di lotta capace di rispondere ai bisogni dei lavoratori. Solo l’attivazione di un nuovo protagonismo dal basso delle lavoratrici e dei lavoratori può modificare i rapporti di forza. Di qui l’invito a tutti di partecipare alla manifestazione a Settimo torinese dei lavoratori delle aziende della zona per l’occupazione programmata per sabato 19 dicembre.

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