sabato 6 febbraio 2010

Solidarietà con i lavoratori e le lavoratrici in lotta


A fianco dei lavoratori dell’Alcoa, dell’Eutelia, della Fiat, di tutte le fabbriche grandi e piccole dove gli operai lottano per difendere il loro diritto al lavoro.

Unire le lotte per battere Marchionne e Marcegaglia, Berlusconi e Tremonti, le multinazionali di casa nostra e quelle di oltreoceano

Solo attraverso una durissima lotta e piantando le tende sotto Palazzo Chigi i lavoratori dell’Alcoa sono riusciti a tenere aperta una partita che coinvolge duemila operai e le loro famiglie in una regione la Sardegna, attraversata da una crisi produttiva ed occupazionale più grave ancora di quella che attanaglia tutto il paese; lo hanno fatto contro una multinazionale arrogante e violenta e di fronte a un governo inattivo, che solo all’ultimo, è stato obbligato a muovere qualche timido passo, per altro del tutto indefinito.

Così come è stata la lotta - più di un anno- delle lavoratrici e dei lavoratori dell’Eutelia/Agile a impedire la loro sconfitta, massicci licenziamenti e imponendo all’esecutivo di convocare a una trattativa tutte le parte interessate in questo duro scontro sociale e sindacale.

Due vicende esemplari che sono la punta dell’iceberg di una crisi economica dirompente e dell’utilizzo che ne fanno i padroni: più di due milioni di disoccupati, un ricorso alla cassa integrazione senza precedenti, centinaia di fabbriche in lotta contro la chiusura, per bloccare i licenziamenti e le delocalizzazioni delle produzioni, le speculazioni delle aree.

Vicende esemplari che rivelano la natura del sistema capitalistico; in nome del profitto, le persone, le loro vite, il futuro di interi territori non dovrebbero valere più nulla. Il capitalismo, il dio mercato considerano i lavoratori come limoni usa e getta, pretendono e prendono i soldi pubblici per distribuire dividendi agli azionisti, chiedono ed ottengono con una legge dopo l’altra sempre maggiori sgravi fiscali fino alla vergogna dello scudo fiscale per evasori e bancarottieri; usano i finanziamenti dello stato per ristrutturare e licenziare e, quando si presenta una occasione più redditizia di investire il capitale, non esitano a chiudere da un giorno all’altro una azienda e a spostarsi in altri paesi, o più semplicemente a tirare giù la serranda perché vogliono a speculare sulla rendita fondiaria delle aree interessate.

Per questo noi diciamo: “tutto questo è inaccettabile: le nostre vite valgono più dei loro profitti”.

Per questo affermiamo con forza la necessità di unire le lotte e di costruire un vasto movimento unitario dal basso di mobilitazione e resistenza per creare i rapporti di forza per battere le forze padronali, quel movimento che le forze sindacali confederali non hanno voluto colpevolmente costruire, o perché del tutto complici del padronato e del governo, o perché vogliono limitarsi a una opposizione formale nella speranza di riconquistare l’agognato tavolo della concertazione.

Non sarà il richiamo ipocrita di un papa reazionario, nemico delle donne, che chiede ai padroni di essere buoni, (come chiedere a una tigre di diventare vegetariana) a salvare la classe lavoratrice, ma solo una mobilitazione ampia e prolungata.

E per questo non basta una scelta di resistenza, vogliamo proporre una piattaforma di lotta per ribaltare i rapporti di forza.

Lo abbiamo già fatto con la legge di iniziativa popolare depositata in parlamento lo scorso anno, proponendo salari minimi di 1.300 euro al mese per legge; salario sociale e minimi previdenziali di 1.000 euro al mese; una nuova scala mobile; il recupero del fiscal drag; pagati dai profitti e dalle rendite.

Proponiamo oggi una piattaforma di lotta per difendere i posti di lavoro e le attività produttive:

* Bisogna imporre il blocco dei licenziamenti, occorre ridistribuire il lavoro esistente tra tutti quelli che ne hanno bisogno, riducendo l'orario di lavoro a 32 o a 30 ore a parità di salario;

* di fronte ai licenziamenti e alla chiusura delle aziende non ci si può far fermare dalla “sacrosanta” proprietà privata, occorre la requisizione dell’imprese, devono passare in mano pubblica con il rilancio o la riconversione delle loro attività e con un controllo democratico da parte di lavoratori e lavoratrici, (le esperienze di autogestione dei lavoratori argentini che salvarono numerose aziende, possono essere un esempio). E questo deve valere per qualunque azienda, tanto più per quelle della Fiat, che rimane la struttura industriale portante del paese.

Per fare tutto questo serve una nuova struttura pubblica, capace di intervento finanziario e di riorganizzazione produttiva; per farci capire, serve una nuova IRI, democratica, non carrozzone burocratico in mano ai boiardi pubblici, ma ente sottoposto al controllo sociale dei lavoratori e dei cittadini.

* una difesa e un allargamento dei diritti di un proletariato che non è più solo bianco e non è solo maschile. Questo significa prima di tutto una regolarizzazione permanente per le lavoratrici e i lavoratori immigrati e una lotta al lavoro nero e clandestino, attraverso il divieto dei subappalti e la requisizione di tutte le imprese che utilizzano lavoro nero e schiavistico;

* è indispensabile l'istituzione di un salario minimo intercategoriale e forti aumenti di salari e pensioni e un reddito dignitoso per tutti i periodi di non lavoro; mentre le tutele dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori vanno estese a tutti;

Uniti con una piattaforma rivendicativa forte si può avere la forza per far valere i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.

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