lunedì 29 marzo 2010

Il Pcf perde pezzi


I "rinnovatori" comunisti lasciano un partito che considerano superato. A capeggiarli l'ex sindaco di Seine-Saint-Denis, Brazouec insieme a intellettuali come Roger Martelli. Il risultato delle regionali non riesce a occulare una crisi di fondo. Ma è tutta la "gauche" a discutere e a interrogarsi su come utilizzare la vittoria alle Regionali per costruire la sfida a Sarkozy nel 2010
sa.can.
Che farà la sinistra francese della vittoria ottenuta alle Regionali della scorsa settimana? Difficile dirlo soprattutto perché è la stessa sinistra, composta da socialisti, ecologisti e comunisti del Front de gauche, a non saperlo ancora. In realtà, l'idea che tutti insieme si possa concorrere alla vittoria nell'elezione-madre del 2012, le presidenziali, è saldamente ancorata nei progetti e nelle strategie di ogni formazione. Però è anche bene presente la realtà del 2007 quando, dopo la schiacciante vittoria alle regionali del 2004, la sinistra fu comunque terremotata da Nicolas Sarkozy. Oggi il presidente francese è in forte difficoltà, due francesi su tre vorrebbero che non si ripresentasse e all'interno del suo partito, l'Ump, sono già cominciate le fronde. Epperò non c'è nessun trionfalismo e nessuna sicumera negli atteggiamenti della "gauche". Che pure ha contraddizioni e problemi interni. Come quelli del Pcf la cui crisi è tutt'altro che superata ma solo nascosta dall'invenzione del FdG. E' di oggi la notizia che uno dei suoi dirigenti storici, Patrick Braouzec, deputato e già sindaco di Seine-Saint-Denis - fu lui a garantire l'organizzazione del Forum sociale europeo a Parigi nel 2003 - ha deciso di lasciare il partito in aperto scontro con il gruppo dirigente. «In quanto membro del Pcf, io considero che la forma del mio partito è ormai superata e morta. Ma è una questione che si pone per l'insieme dei partiti» dice in un'intervista a Le Monde - vedi allegato - annunciando che il saluto definitivo sarà dato domani venerdì. A seguirlo, altri dirigenti storici del Pcf come lo storico Roger Martelli o l'ex direttore dell'Humanité Pierre Zarka. La questione imputata ai vertici comunisti è il livello di rinnovamento e il modo in cui si sta assemblando una nuova "sinistra critica" che, a giudizio di Brazouezec dovrebbe tenere in maggiore considerazione le istanze sociali e di movimento. Il dirigente comunista è membro della Federazione per un'alternativa sociale e ecologica che costituisce quanto rimasto dall'esperienza dei collettivi unitari contro la Costituzione europea - vincitori nel referendum del 2006 - dopo il tentativo del Pcf di aggregarli nella propria campagna per le presidenziali.Nel Front de Gauche non è questa la sola spina. Pesa anche il rapporto tra Pcf e i socialisti di Jean Luc Melenchon, il quale non fa mistero della sua volontà di candidarsi alle presidenziali del 2012 a capo di una coalizione di sinistra. Per questo è da molto tempo che l'ex deputato socialista fa molteplici aperture al Npa di Besancenot provando a proporsi come uomo di collegamento. Nel Npa si discuterà dei risultati sabato e domenica, nel Comitato politico nazionale convocato a Parigi, e si preannuncia un po' di maretta anche se il risultato, alla base, non è apparso particolarmente negativo nel contesto in cui si è sviluppato. Dal canto suo il Pcf inizia a vedere di buon occhio l'ipotesi ,che i socialisti stanno vagliando, di primarie interne a tutta la sinistra per scegliere un candidato, o una candidata, unica alle Presidenziali. In questo modo si potrebbe evitare l'ormai tradizionale figuraccia che il Pcf rimedia in quell'elezione e concorrere alla vittoria della Gauche. Melenchon, dal canto suo, non vuole primarie e tesse la sua tela.Anche la leader dei Verdi, Cecile Duflot - i verdi sono un'organizzazione interna a Europe ecologie - vuole una candidatura ecologista alle presidenziali mentre Daniel Cohn-Bendit, che di Europe ecologie è stato l'inventore, punta a una candidatura unica fortemente caratterizzata in senso ecologista (ma ha escluso ripetutamente di essere candidato).Infine i socialisti. Per il momento si godono la vittoria. Dopo le Europee del 2009, in cui erano rimasti al 16%, erano dati per moribondi. Martine Aubry sa che se vuole essere candidata non deve fare mosse avventate.Quello che ancora però è del tutto inesistente è il "progetto" con cui la sinistra può candidarsi a sfidare Sarkozy. Che idea di futuro, di società, di risposta alla crisi? Nessuno ha finora avanzato proposte interessanti e mobilitanti e non è un caso se il dibattito si svolge nel vuoto pneumatico creato da un astensionismo record che ormai interessa la metà dei francesi. La discussione interessante potrebbe essere questa ma al momento nessuno vi fa cenno.

domenica 28 marzo 2010

Contro la crisi per una prospettiva anticapitalista. A Roma il 17 aprile, assemblea di Sinistra Critica



Contro la crisi per costruire una prospettiva anticapitalista.

E' il senso della nostra assemblea-convegno che si terrà a Roma il 17 aprile - dalle ore 13 al Centro Congressi di via Rieti - e che costituirà un'occasione di confronto e di discussione, dentro e fuori Sinistra Critica, dopo le elezioni. Elezioni che non offrono grandi novità ai fini di un'ipotesi anticapitalista. Il grande tema della crisi è infatti del tutto assente dalla campagna elettorale e le stesse forze della sinistra istituzionale, nella scelta di rimanere agganciati al carro del centrosinistra, ai suoi candidati e, quindi, ai suoi temi ha perso l'ennesima occasione per presentare un progetto politico alternativo. Le elezioni contribuiranno a chiarire gli scenari, certamente non modificheranno un dato di fondo: la crisi continua a essere dura, attacca il mondo del lavoro, precarizza le nostre esistenze, rafforza il razzismo e la xenofobia, distrugge l'ambiente.Per questo ci vediamo a Roma il 17 aprile: per costruire una riflessione unitaria attorno alla crisi a partire dalle differenti vertenze e dai diversi ambiti in cui ognuno, ognuna di noi vive e opera. E per cercare di ribadire il concetto che "contro la crisi occorre unire le lotte": per questo all'assemblea parleranno i lavoratori che si mobilitano, le vertenze territoriali, studentesche, per i diritti civili. E un particolare spazio avrà l'avvio del Referendum contro la privatizzazione dell'acqua.Un momento di confronto e di riflessione anche per progettare il futuro della sinistra anticapitalista e rilanciare la proposta di uno "Spazio comune", che mobiliti energie politiche, sociali, associative, sindacali, individuali oggi prive di un punto di riferimento credibile. Uno spazio comune plurale ma coerente, determinato a non far morire nel nostro paese l'ipotesi di un altro mondo possibile e di una sinistra alternativa

venerdì 26 marzo 2010

Imprescindibile Daniel


SOMMARIO DEL N. 37
EDITORIALE (Salvatore Cannavò)PRIMO PIANO
Daniel Bensaid, l'ultimo intempestivo (Cinzia Arruzza)
L'atto di nascita, il '68 (Alain Krivine)
El bensa (Miguel Romero)
A Daniel che rischiara il cammino (Edwy Plenel)
Un comunista allergico all'ortodossia (Felice Mometti)IDEEMEMORIE
Potenza del comunismo (Daniel Bensaid)
Il ritorno della questione strategica (Daniel Bensaid)
Il ritorno del problema "politico" (Daniel Bensaid)
Crisi di oggi e di ieri (Daniel Bensaid)
La lenta impazienza (Daniel Bensaid)LIBRERIA
Ricercare il conflitto di classe del futuro (Danilo Corradi)
CORRISPONDENZE
Se l'Internazionale ridiventa una prospettiva (Salvatore Cannavò)

giovedì 25 marzo 2010

Un attacco pericoloso



Il provvedimento sull'articolo 18 varato dal Parlamento e su cui pende la possibile non firma da parte di Napolitano è un attacco insidiosissimo al diritto del lavoro. Al dipendente è chiesto di rinunciare al giudice sostituito da un arbitrato. Che però dovrà essere pagato e su cui non può nutrire nessuna fiducia. E in caso di licenziamento non avrebbe comunque diritto al reintegro

Alberto Medina*
Tutta la legislazione sul lavoro che si è sviluppata fin dall’inizio del secolo scorso, e persino durante il fascismo, si è mossa dall’ovvia considerazione dello squilibrio di potere contrattuale esistente tra lavoratore e datore di lavoro. Per tentare di bilanciare questo potere contrattuale e sottrarre il lavoratore dal rischio di dover subire clausole contrattuali inique e certamente da lui non liberamente volute, la legislazione del lavoro si è dunque sviluppata su due fondamentali pilastri.Il primo, di ordine sostanziale, riguarda la individuazione di una serie di diritti fondamentali individuati a favore del lavoratore come “indisponibili” che venivano imposti alla parte più forte, ossia al datore, rendendo nullo ogni eventuale patto contrario (si tratta dei diritti al riposo, alle ferie, alla irriducibilità della retribuzione, alla contribuzione previdenziale, al mantenimento del professionalità raggiunta, all’attività sindacale, alla tutela della maternità, etc.,etc.).Il secondo pilastro di ordine procedurale, consiste nella effettiva esigibilità di questi diritti, e nel nostro ordinamento esso è stato perfezionato con l’individuazione, a partire dal 1973, di un rito giudiziario particolare, più celere e snello, privo sostanzialmente di costi per il lavoratore (poiché – oltre ad essere esente da bolli e tasse - anche in caso di sconfitta del lavoratore le spese legali venivano , per prassi , normalmente compensate) il cui accesso non poteva in alcun modo esser pregiudicato da eventuali clausole che prevedessero il ricorso all’arbitrato.Già da anni i governi (dei diversi schieramenti politici) avevano iniziato ad erodere diritti da sempre ritenuti indisponibili, prima invocando la necessità di battere l’inflazione e poi la necessità di maggior flessibilità del lavoro, cominciando ad affermare tra l’altro una inesistente libertà di contrattazione del dipendente e una sua sostanziale “parità” col datore di lavoro che hanno trovato la loro enfatizzazione nella c.d. legge Biagi (si pensi solo alla sostanziale liberalizzazione delle clausole elastiche e flessibili nel lavoro part time oggettivamente non rifiutabili da chi è in cerca di lavoro)Sul fronte della tutela giudiziaria l’attacco fino ad oggi si era sviluppato solo individuando misure deflattive; da un lato era stata introdotta la obbligatorietà del preventivo tentativo di conciliazione avanti alla DPL con considerevole allungamento dei tempi in cui concludere una causa dei lavoro, dall’altro, evitando di parametrare gli organici dei Tribunali del Lavoro con le reali necessità, si era indotto i giudici a “difendersi” da eccessivi carichi di lavoro iniziando a condannare i lavoratori in caso di rigetto delle loro domande.Questa forma di autotutela corporativa dei giudici a scapito dei lavoratori, che spesso si trovano a dover rinunciare al ricorso alla giustizia nel timore di non avere i mezzi “per potersela permettere”, aveva tra l’altro, dal luglio scorso, trovato sostegno dal legislatore con la modifica di un articolo che oggi impone al giudice di motivare dettagliatamente le ragioni di eventuali deroghe dal principio secondo cui le spese legali gravano sulla parte che perde il giudizio.
Se dunque ormai da tempo i pilastri posti a bilanciare lo squilibrio esistente tra lavoratore e padrone subivano gravi attacchi quello portato dal DDL 1167 appena approvato dal Senato appare dirompente perché muovendosi apparentemente solo sul piano procedurale introduce un meccanismo che rischia di vanificare qualsiasi diritto “indisponibile”.Il cavallo di Troia è rappresentato dalla eliminazione del divieto di introdurre clausole che riducano la possibilità del lavoratore di ricorrere al giudice.L’art. 31 comma 9 prevede che accordi interconfederali o contratti collettivi potranno prevedere il ricorso all’arbitrato, con clausole che si chiamano “compromissorie”, e queste clausole potranno esser “liberamente” sottoscritte dal lavoratore davanti ad una commissione certificatrice che “accerti la effettiva volontà delle parti” : Se entro 12 mesi non saranno intervenuti sulla materia i previsti accordi interconfederali o i contratti collettivi interverrà a regolare la materia un decreto ministeriale.Cosa significa tutto ciò?
Significa che all’interno di un quadro che ancora deve esser definito dagli accordi (CISL e UIL sembrano già d’accordo) ovvero dal Ministro, all’atto dell’assunzione potrà esser chiesto al dipendente di firmare una clausola con la quale egli rinuncia a rivolgersi al giudice in determinate o in tutte le materie che riguardano il suo rapporto di lavoro impegnandosi a rivolgersi invece ad un collegio arbitrale.E’ evidente che se il datore porrà quella condizione il lavoratore, per poter accedere a quel lavoro, non potrà che accettarla “liberamente” con il beneplacito del commissione certificatrice .Il risultato, però, sarà che il dipendente si troverà a subire una situazione che mai avrebbe potuto preferire rispetto alla fino ad oggi preesistente possibilità di rivolgersi in ogni caso alla giustizia ordinaria e ancora una volta si è ipocritamente presupposta una inesistente parità di forze tra chi offre e chi cerca lavoro.Al di là dei costi senz’altro maggiori (gli arbitri vanno pagati: già prima della decisione il lavoratore dovrà versare con assegno circolare al presidente una somma pari all’1% del valore della causa, poi ci sono le spese degli altri arbitri, nonché quelle dei legali), va considerato che gli arbitri saranno 3 e decideranno a maggioranza. Poiché uno sarà nominato dal lavoratore e l’altro dal datore di lavoro l’ago della bilancia sarà il Presidente, individuato dai primi due o dal Presidente del Tribunale in un professore universitario in materie giuridiche o in un avvocato cassazionista.
Già solo la collocazione sociale di queste due figure e le ben più possibili convergenze di interessi tra loro e le aziende non consentono di nutrire una particolare fiducia nell’imparzialità di un simile “organo giudicante”, ma il punto fondamentale non è ancora questo.Esso sta invece e soprattutto nel fatto che questi arbitri potranno decidere secondo equità (il che vuol dire semplicemente come a loro sembri giusto) e che potrà prevedersi persino la rinuncia del lavoratore ad impugnare la loro decisione (c.d. lodo) anche quando questa sia contraria a norme di diritto o a contratti ed accordi collettivi!Il che significa, ad esempio, che in caso di licenziamento anche quando gli arbitri lo riconoscessero illegittimo, non sarebbero tenuti a disporre la reintegrazione, con buona pace dell’art. 18 e nulla potrà poi obiettare il lavoratore!E non solo, perché nessun diritto indisponibile potrà più dirsi effettivamente tutelabile.Oltre a queste misure la nuova legge ne introduce altre non meno significative:- introduce una serie di decadenze pesantissime perché, quale che sia il tipo del contratto di lavoro a tempo indeterminato, a termine, a progetto, la sua risoluzione (anche oralmente disposta) deve essere impugnata entro sessanta giorni ed il relativo ricorso al giudice o all’arbitrato deve essere attivato entro i successivi 180 giorni. Negli stessi termini devono esser impugnate la cessione del contratto in caso di trasferimento d’azienda (dalla data del trasferimento) e la effettiva titolarità del rapporto in caso di somministrazione di lavoro irregolare (dalla data della sua cessazione).La gravità di queste decadenza è facilmente intuibile: i lavoratori spesso scoprono in ritardo l’esistenza dei loro diritti (ad esempio che il termine del loro contratto non era valido, che la somministrazione del loro lavoro era irregolare, etc, che il loro passaggio ad altra azienda non era giustificato da un trasferimento di ramo d’azienda, etc,) altre volte ritardano anche solo ad informarsi presso il sindacato confidando nelle promesse di future riassunzioni,. Certo è che questa strettissima decadenza priverà moltissimi, e specie i lavoratori più deboli, di una possibilità di effettiva tutela.- riduce il risarcimento del danno dovuto al lavoratore assunto irregolarmente a termine per il periodo in cui è stato privo di lavoro contenendolo nei limiti tra le 2, 5 mensilità e le 6, addirittura anche in relazione ai giudizi già in corso.- elimina la necessità di ricorrere al tentativo di conciliazione ex art. 410, mantenuto come opzione possibile, ma gravato di obblighi di specificazione delle domande e delle loro ragioni (in analogia con quanto già previsto in materia di pubblico impiego) che ne appesantiscono l’utilizzo ed impongono, di fatto, già in quella fase la presenza del legale;Oltre a questo disposto in via generale, vi sono poi nella legge altri vere “chicche” che dimostrano come il legislatore sia stato sensibile sì al “lavoro”, ma a quello delle lobbies.E’ stata introdotta, infatti, con l’art. 50, una norma che pare colpire unicamente e clamorosamente solo i lavoratori di Atesia che, assunti irregolarmente come “Cococò”, non avevano accettato di rinunciare ai loro diritti pregressi a fronte della sola reintegra con un contratto a part time a 500 euro mensili loro offerta da Atesia prima del 30.9.2008. Ora, in forza di questa norma retroattiva anche chi di loro ha vinto in appello, ma ancora non ha una sentenza definitiva, perderà il diritto alla reintegra e agli stipendi perduti e dovrà accontentarsi di un minimo risarcimento (tra le 2,5 e le 6 mensilità)!Lo scempio di un simile modo di legiferare risulta ben chiaro a tutti, prima però che le parti più pericolose di questa legge inizino ad operare vi è spazio per individuare iniziative di sensibilizzazione e di lotta che siano in grado di ostacolarne l’applicazione. Vale la pena di darsi da fare.

*Avvocato del lavoro

mercoledì 24 marzo 2010

Note sulle elezioni regionali


Avevamo avanzato una proposta
Come è noto non troverete la lista di Sinistra Critica nella scheda delle imminenti elezioni regionali. Avremmo voluto esserci, non tanto come singola forza politica, ma dentro una alleanza politica e sociale che esprimesse un programma e una prospettiva alternativa ai due schieramenti, che avesse al centro la difesa dei diritti del lavoro, dei diritti sociali, dei beni comuni, la preservazione dell’ambiente, una concezione dei trasporti democratica al servizio dei cittadini e non funzionali agli interessi delle multinazionali. Per riprendere uno slogan semplice avremmo voluto una lista incarnazione di un programma e di una azione politica e sociale che anteponesse le vite concrete e materiali delle lavoratrici e dei lavoratori e delle popolazione alla logica infermale del profitto e del mercato capitalistico.
Abbiamo fatto questa proposta alle altre forze politiche alla sinistra del PD e a diverse forze sociali, come già avevamo argomentato e sostenuto l’anno scorso nelle elezioni provinciali. Abbiamo ben presto verificato che le forze, principali, Sel e Federazione della Sinistra, pur in forme differenti avevano già fatto altre scelte politiche, rimanendo strettamente agganciate al carro del PD. Abbiamo contemporaneamente constatato l’interesse, ma anche lo scetticismo e le preoccupazioni politiche ed organizzative e la conclusione di rinuncia da parte degli esponenti impegnati nei movimenti sociali. Per parte sua il Pcl, come nelle altre occasioni elettorali, già aveva annunciato che avrebbe fatto da solo. I risultati si vedono.
In tale contesto abbiamo giudicato troppo gravoso sul piano organizzativo, a partire dal gran numero di firme da raccogliere (le forze politiche presenti in consiglio, tutte insieme, avevano provveduto a varare una leggina regionale che le esonerava dalla raccolta !?…) e finanziario una corsa solitaria di Sinistra Critica e abbiamo preferito utilizzare le nostre forze ed energie per sostenere attivamente i diversi movimenti sociali e i lavoratori e le lavoratici delle aziende e delle fabbriche in lotta per difendere i posti di lavoro.
Ma il problema di una alternativa resta tutto quanto e averlo rinviato ancora una volta costituisce solo una sconfitta per tutti.

Una scelta inesistente
La scelta per le cittadine e i cittadini della nostra regione che vogliano sostenere un programma antiliberista e di rigetto delle logiche capitalistiche, infatti, non esiste.
Da una parte c’è la coalizione delle destre: la natura e gli intenti, il programma di queste forze sono fin troppo chiari, esemplificati da quanto il governo ha fatto finora, un sostegno continuo a padroni grandi e piccoli, un attacco continuo ai diritti dei lavoratori, minacce esplicite allo stesso funzionamento democratico. E il loro candidato, il leghista Cota, i cui connotati reazionari e razzisti sono espliciti e dichiarati, punta a trascinare voti operai e popolari nel gorgo populista xenofobo. Un pericolo certo.
Dall’altra la coalizione guidata dalla Bresso, che con l’ingresso dell’UDC avrà un’ulteriore inflessione a destra sui terreni delicatissimi della sanità e della scuola. Il governo della Bresso si è caratterizzato in questi anni per un pieno legame con i poteri forti della nostra regione, di sostegno alle imprese, di cementificazione ed asfaltizzazione del nostro territorio (l’ultima invenzione è l’autostrada pedemontana di Biella, che si aggiunge al progetto della tangenziale est). Per le lavoratrici e per i lavoratori, per le decine di migliaia di cassa integrati, per i tanti che hanno già perso il posto di lavoro o lo stanno perdendo, qualche ammortizzatore sociale, cioè qualche elemosina, che certo serve ad evitare il peggio per qualcuno, ma nella logica di scelte economiche funzionale alle ristrutturazioni capitaliste.
Ma quel che va sottolineato in modo particolare è che il PD si è impegnato nel corso degli ultimi mesi uno sforzo titanico per far avanzare il progetto della Tav. Il movimento della valle ha dimostrato ampiamente che questa opera serve solo ad assicurare ingenti profitti per le lobby del cemento e dell’asfalto foraggiandole coi soldi pubblici. Ma dietro questi padroni e interessi si è formata una vera e propria “unione sacra” che lega, come un sol uomo, centrodestra e centrosinistra piemontesi e nazionali, giornali nazionali e locali, tutte le forze imprenditoriali, e naturalmente il governo. E le forze dell’ordine provvedono a difendere con la loro presenza e repressione gli intenti di questa coalizione del cemento e dell’appalto.
Cota sta dietro, in attesa di raccogliere i suoi frutti; Bresso e amici sono in prima fila nel cercare di sconfiggere il movimento NO TAV nel voler cioè distruggere il principale movimento democratico e popolare nella nostra regione. Se il tentativo di spezzare la schiena a questa ampia e splendida manifestazione di difesa dell’ambiente, dei diritti dei cittadini e di pratica di democrazia andasse in porto si aprirebbe una autostrada per la Lega e per tutte le forze xenofobe e razziste, compresa la presenza degli affaristi di ogni genere così come delle mafie.

Un dramma
Il dramma in cui siamo immersi è che, chiunque dei due schieramenti vinca, userà questa vittoria contro il movimento della Val Susa e più in generale contro le forze di sinistra, contro il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori gestendo politiche funzionali a garantire gli interessi del padronato e delle aziende.
Non aver costruito uno schieramento che desse ai lavoratori, ai cittadini, alle popolazioni della Val Susa la possibilità di voto alternativo è un grave errore della sinistra. Saranno gli elettori a giudicare queste scelte. E per parte sua la lista di Grillo, a cui alcuni militanti sociali si sono attaccati disperatamente, resta dentro il recinto di una protesta populista priva di una connotazione sociale realmente alternativa e tanto meno di quella connotazione anticapitalista necessaria nella presente crisi del sistema capitalista che viene usata contro la classe lavoratrice.

Centralità dei movimenti, organizzazione politica, l’alternativa
Certo il problema da cui partire è la costruzione dei movimenti di massa. Senza di questi, senza la partecipazione attiva democratica, dei lavoratori, dei cittadini, intorno ai propri obbiettivi, intorno a contenuti antiliberisti e anticapitalisti non si costruiscono le condizioni e i rapporti di forza di una alternativa; e i movimenti di massa non possono essere infeudati da partiti politici che pretendano di rappresentarli nelle istituzioni.
Ma il problema della costruzione di una forza politica che abbia come funzione principale l’impegno nei movimenti e la costruzione delle resistenze sociali e che possa servire per rinsaldare un blocco sociale anticapitalista non può essere eluso: E questo passa anche attraverso la capacità di esser presente nelle scadenze elettorali anche e soprattutto per difendere le ragioni e gli obbiettivi dei movimenti.
Se no ci troveremo sempre dentro l’infernale sistema bipolare, davanti al ricatto permanente della richiesta di contrastare il più brutto per favorire la vittoria di quello che viene presentato come meno brutto, ma che col suo agire disgrega le forze dell’alternativa e rafforza proprio il più brutto. Detto in altri termini: la costante scelta del meno peggio prepara il peggio.
Non si esce dalla logica infernale del bipolarismo stando dentro il bipolarismo stesso. Occorre spezzare questo gioco di sconfitta delle classi popolari affermando una forza politica, una coalizione di forze che dica sempre e chiaramente: “io ne sto fuori, guardo avanti e costruisco una alternativa nel sociale, se riesco ad essere nelle istituzioni le utilizzo per questa finalità ultima”. Non c’è soluzione diversa per chi non voglia rassegnarsi al razzismo populista di Cota e al liberismo filocapitalista del PD.

Unire le lotte, preparasi alle prossime scadenze politiche
In queste elezioni quel che interessa quindi soprattutto a Sinistra Critica, non avendo la propria lista o la coalizione giusta - e molti se ne sono dispiaciuti con noi -, è quindi soprattutto di sviluppare il ragionamento e di preparare altri scenari politici a sinistra per il futuro.
Nei prossimo mesi lavoreremo più che mai per portare avanti la nostra campagna “le nostre vite valgono più dei loro profitti”, (che avrà il prossimo 17 aprile a Roma un’importante momento di confronto in un’assemblea con esponenti delle fabbriche in lotta e dei movimenti, a cui invitiamo a partecipare) di lavorare per unire le lotte, per costruire un movimento di resistenza unitario, e contribuire alla riuscita della scadenza referendaria del referendum per la difesa dell’acqua pubblica.
Tuttavia, lo diciamo con molta chiarezza, non si può pensare che a Torino nelle prossime elezioni per il sindaco e il consiglio comunale la scelta sia ancora una volta tra un personaggio della destra (fascista, berlusconiano, leghista) e un clone o forse anche peggio dell’attuale sindaco Chiamparino, cioè l’espressione della borghesia locale, che poi è parte costitutiva decisiva della borghesia italiana.
Ci vuole una alternativa, un terzo polo, democratico e di classe, di sinistra. Noi faremo di tutto per costruirlo insieme ad altri, possibilmente con una lista unitaria e di sinistra rappresentativa della realtà sociale e di lavoro della nostra città. Specificando fin da subito un elemento: non potrà esserci forfait questa volta; in tutti i casi Sinistra Critica si misurerà con questa scadenza dal grande valore politico e sociale lavorandoci fin dai prossimi mesi.


SINISTRA CRITICA PIEMONTE

sabato 20 marzo 2010

L'incerto futuro della minoranza Cgil



La mozione "La Cgil che vogliamo" si è riunita oggi a Roma in un'assemblea molto partecipata. Ribaditi i punti salienti della piattaforma e a Epifani che lancia qualche posto negli apparati la risposta è: no grazie. Ma resta il nodo della "certificazione" finale del congresso e soprattutto della prospettiva. Per ora l'Area programmatica è proposta solo dalla Rete28Aprile

Andrea Martini
La sala era piena, altrettanto se non di più della precedente occasione. L'assemblea nazionale delle sostenitrici e dei sostenitori della mozione "La CGIL che voglamo" ha affollato oggi ancora una volta il teatro Valle di Roma, dove già si era svolta lo scorso 21 novembre l'assemblea di lancio.Certo, sul piano "contabile", la seconda mozione per il XVI congresso della Cgil esce sconfitta dalla fase determinante, quella delle assemblee di base.Delle tre Camere del lavoro che in partenza si erano schierate sulle sue posizioni restano solo quelle di Brescia e di Reggio Emilia; quella di Venezia è stata "espugnata" dall'epifaniano Viafora; delle tre categorie i cui leader nazionali si erano opposti a Epifani resta maggioritariamente su posizioni critiche solo la Fiom, mentre le altre due (la Funzione Pubblica e la Fisac dei bancari) sono state riconquistate e riportate sotto controllo.La mozione dunque con questa assemblea, pur riconoscendo la vittoria della mozione 1, sia a livello confederale sia tra i lavoratori pubblici che tra i bancari, ha però voluto ridimensionare la portata numerica di questa vittoria, sottolineando come il 17% riconosciuto dai dati ufficiali sia stato conquistato in non più della metà delle quasi 50.000 assemblee di base.L'altra metà si è svolta senza la presenza di alcun rappresentante della seconda mozione e senza alcun controllo democratico, con risultati plebiscitari sia in termini di percentuali di partecipazione al voto sia di esiti favorevoli al documento del segretario generale.Cosa che, con tutta probabilità, si tradurrà nelle prossime settimane in una "certificazione" non unitaria dei dati su cui calcolare i delegati al congresso nazionale che si terrà a Rimini tra il 5 e l'8 maggio.La mozione 2, dunque, continua ad affermare che i risultati, con regole diverse, sarebbero stati ben superiori e porta ad esempio i risultati dell'Emilia Romagna in cui, a fronte di un congresso gestito in modo più trasparente e accettabile, la mozione 2 raccoglie il 42% tra i lavoratori attivi (il 54% a Bologna) e complessivamente, conteggiando anche i pensionati, il 31%.
Arriva ora il momento del "che fare?". Soprattutto di fronte alla indisponibilità di Epifani e dei suoi a raccogliere, anche solo parzialmente, le proposte della mozione Moccia.Epifani pare disposto ad ammorbidire questa impermeabilità non sul terreno dei contenuti, ma solo con la concessione di qualche posto negli apparati e solo per chi è disposto a presentarsi di fronte alla sua porta con il cappello in mano, cioè facendo abiura della scelta della mozione alternativa.Questa situazione ha creato qualche scricchiolio, soprattutto in Lombardia, dove la maggioranza dei delegati della mozione 2 al congresso confederale regionale ha scelto di votare a favore di un testo conclusivo ritenuto dal resto della minoranza (i "cremaschiani" della Rete 28 aprile ma anche molti altri) assolutamente indigeribile, perché molto segnato da una politica tutta tesa alla ricomposizione con Cisl e Uil.Nella grande maggioranza delle altre regioni l'unità della minoranza ha retto, sia per convinzione sia perché tenuta unita dal muso duro dei seguaci di Epifani.Mimmo Moccia, primo firmatario della mozione 2, evocando un noto programma della Tv nazional popolare, ha sintetizzato l'unica risposta possibile alle profferte di resa da parte del segretario generale: "Ringrazio il dottore, rifiuto l'offerta e vado avanti".L'assemblea ha discusso animatamente, ma con grande spirito unitario delle prospettive. La necessità di mantenere vivi i contenuti della mozione: il no netto e non mediabile all'accordo separato sul modello contrattuale, la necessità di avviare una campagna vera a difesa dell'articolo 18 e del diritto del lavoro, una lotta a fondo contro la precarietà e per la riaffermazione dei diritti, il sostegno alla proposta di legge Fiom sulla democrazia sindacale e, soprattutto, la proposta di una riforma democratica della Cgil che consenta una vera pari dignità delle posizioni e una piena consapevolezza del pronunciamento degli iscritti.Appunto, su come affrontare l'impatto con il congresso di Rimini e con le urgenze del dopo-congresso, per il momento, in campo c'è solo la proposta di Cremaschi di trasformare la mozione in area programmatica di opposizione. Certo, il termine "area programmatica" evoca la pessima esperienza della cordata di Gianpaolo Patta, una cordata che ricorda ormai in tutto e per tutto le componenti partitiche sciolte una ventina di anni fa, parallelamente alla sparizione dei partiti storici della sinistra.Una cordata che esiste solo per garantire ad un discreto numero di funzionari una loro rielezione senza alcuna verifica di rappresentatività nei posti di lavoro.Ma, al di là dei cattivi precedenti, la organizzazione autonoma della mozione utilizzando gli spazi consentiti dallo statuto è l'unico strumento per non disperdere e per poter reinvestire il patrimonio di militanza e di impegno rappresentato da tante e tanti, spesso giovani, che hanno lavorato, mettendo a disposizione giorni di ferie e ogni ritaglio di tempo libero per tallonare funzionari e apparatnikj, per presidiare assemblee congressuali sfuggenti e per sostenere le ragioni della mozione 2.

martedì 16 marzo 2010

Cremaschi: "Alla Cgil serve una rifondazione democratica"



"Mi candido a segretario della Fiom ma spero non ce ne sia bisogno e che sia l'intera Fiom ad animare un'Area programmatica di opposizione interna. La Cgil ha bisogno di nuove regole e di una effettiva "Democrazia Sindacale". Anche ricorrendo alle primarie per l'elezione del segretario generale".Intervista al leader della Rete 28 Aprile

di Salvatore Cannavò
“Una candidatura “politica” perché politica è la battaglia che riguarda il futuro non solo della Fiom ma dell’intera Cgil”. Questo è il senso che Giorgio Cremaschi, segretario nazionale uscente della Fiom nonché leader della Rete28Aprile, la piccola componente rimasta a presidiare la sinistra sindacale, dà all’autocandidatura alla segreteria generale del sindacato metalmeccanici. Cremaschi questa proposta l’ha già ufficializzata da diverso tempo. In questa intervista al Megafonoquotidiano la spiega meglio e soprattutto la colloca in una battaglia complessiva che guarda al futuro della Cgil. “Non si tratta di una collocazione individuale, anzi se devo dirla tutta è una candidatura che io spero non sia necessaria, che spero di ritirare perché vorrei che fosse l’intera Fiom a recepire la piattaforma politica che la sottende”. Le notizie di corridoio, non ancora ufficializzate, parlano però di una ipotesi Landini, “rinaldiano” di ferro per il dopo Rinaldini. E quindi? “A me l’ipotesi Landini può andare senza dubbio bene a condizione che ci sia un accordo politico. E non mi si venga a dire che per “il bene dell’organizzazione” il dibattito interno al gruppo dirigente debba rimanere nascosto; per “il bene dell’organizzazione” si sono compiuti dei disastri e quindi stavolta abbiamo bisogno della massima trasparenza e di un dibattito alla luce del sole”.Vediamoli dunque i punti di fondo che Cremaschi chiede alla “sua” Fiom e che sostanzieranno la propria candidatura alla segreteria. “Il punto – ci dice – è molto semplice: si tratta di decidere se la Fiom cede al “riflusso” post-congressuale, si chiude nella propria categoria o se invece ingaggia una battaglia generale, di opposizione interna alla maggioranza e alla sua linea di rientro nell’alveo della politica sindacale delineata da Cisl e Uil. In altre parole se è d’accordo a mantenere in piedi la “Cgil che vogliamo” come Area programmatica, e quindi di dissenso, con al centro le lotte sociali e con avversario il nuovo sistema contrattuale”. Una prospettiva che secondo Cremaschi è obbligata perché ci sarà da rinnovare il contratto dei metalmeccanici e se la Fiom vuole fare sul serio non può pensare di abbassare i toni in casa Cgil.“Il punto chiave del congresso – continua Cremaschi – è che ci ha indicato due modi di fare e di essere della Cgil: concepire il no all’accordo contrattuale come un incidente di percorso da recuperare con accordi di categoria che vanno nello stesso senso anche se forniti di qualche foglia di fico, peraltro generalmente apprezzata dalla Confindustria; o se invece dire no a questa linea, rilanciare una Cgil di lotta, con una piattaforma adeguata alla crisi e capace di rimotivare il protagonismo dei lavoratori e instaurare una vera democrazia interna”. Il problema delineato da Cremaschi, ovviamente fa i conti con il risultato congressuale. La seconda mozione ha infatti ottenuto un risultato al di sotto delle aspettative – il 17% circa – anche se consistente in termini “assoluti”, pari cioè a 310 mila voti. Questa situazione ha comportato la perdita della maggioranza nell’altra grande categoria, la Funzione pubblica che, insieme alla Fiom e alla Fisac (bancari) aveva dato vita al documento alternativo. Una sconfitta bruciante che si farà sentire nelle scelte future. Gestire una linea di “minoranza” controllando le due più grandi categoria è una cosa, avere a disposizione solo la Fiom è un’altra. “Va detto però, avverte Cremaschi, che del milione e ottocentomila voti complessivi (1,5 milioni alla maggioranza e 300 mila alla minoranza, ndr) circa 500 mila sono contestati e per questa ragione la minoranza non riconoscerà i dati del congresso. Se guardiamo alla Cgil degli iscritti la mozione 2 conta circa il 30-35%; sulla Cgil delle tessere siamo invece al 17%. Quindi la forza politica dell’opposizione c’è e si basa anche sulla forza dei suoi militanti disponibili a una battaglia politica; a condizione di volerla condurre. Anche perché io penso che l’alternativa a questa scelta sarebbe solo l’andata a casa”. Insomma la “realtà oggettiva” depone a favore di una continuità della lotta e dell’opposizione in contraddizione con “l’inerzia della burocrazia” che invece può tendere a rientrare nei ranghi.Cremaschi e la Rete28Aprile avanzeranno questa proposta all’assemblea della “Cgil che vogliamo” che si tiene a Roma sabato prossimo: “Divenire Area programmatica per continuare la battaglia politica, tendenzialmente di opposizione e fare in modo che i primi interlocutori siano i propri compagni di viaggio nel senso che le grandi scelte si fanno prima all’interno dell’area e poi si discutono con la maggioranza. In una solidarietà di minoranza che credo sia indispensabile perché casi di discriminazioni, in particolare contro la Rete, si sono verificati qua e là nei congressi provinciali, regionali o di categoria”.Ma “la Cgil che vogliamo” ha le carte in regola, insiste Cremaschi, per condurre una battaglia di rilancio della Cgil garantendole un’alternativa alla linea suicida di Guglielmo Epifani. “La Cgil è un’organizzazione in piena crisi e l’ipotesi di inseguire la Cisl e la Uil ha come conseguenza di aderire al neocorporativismo di quei sindacati in intesa con la Confindustria e con Sacconi. In questa ipotesi la Cgil si scioglie ma si scioglie anche se rimane in questo guado perenne. In realtà l’unica possibilità di rinascere per la Cgil è quella di rompere con Cisl e Uil e costruire un’altra dimensione di alleanze – con i comitati di lotta, con la partecipazione democratica, il conflitto – e una piattaforma adeguata alla crisi. In cui si parli di questioni dirompenti: la riduzione dell’orario di lavoro a 35/30 ore, un nuovo piano di nazionalizzazioni, un nuovo intervento pubblico, la capacità di forzare i rapporti di forza, quando se ne danno le opportunità, per aumentare i salari”. In questa ipotesi di rinascita della Cgil però un ruolo centrale ce l’ha la questione democratica.“Il vero collante della seconda mozione, ciò che la qualifica e la può far diventare una prospettiva futura è proprio la questione democratica. Se dovessi scegliere un nome per un’area programmatica sceglierei Democrazia Sindacale, perché sulla ridefinizione delle regole ci giochiamo gran parte della nostra credibilità. Il modello democratico della Cgil non va assolutamente bene, né sul piano interno né per quanto riguarda le grandi consultazioni. E mi spingerei anche a fare una proposta provocatoria: piuttosto che l’attuale sistema occorrerebbero delle primarie per eleggere il segretario generale: primarie con delle regole – un adeguato periodo di “campagna elettorale”, una effettiva “par condicio” il voto solo dove è possibile un controllo democratico – ma primarie. In realtà a Epifani piace vincere facile”.

martedì 2 marzo 2010

Lo sciopero c'è: migliaia in piazza in tutta Italia



Diecimila in corteo a Brescia, ventimila a Napoli, diecimila a Bologna e Genova, ma anche a Torino e poi Roma, Verona, Livorno Milano. Una giornata riuscita tra boicottaggi e scetticismo. La cronaca realizzata con i "corrispondenti" del Megafono

I dati sono arrivati un po' alla volta, uniformi e chiari da tutta Italia. La "giornata senza di noi", il primo sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici migranti è stata un successo. Cortei, manifestazioni, azioni simboliche si sono svolte praticamente dappertutto. E migliaia e migliaia di migranti sono scesi in piazza ma, soprattutto, hanno realmente scioperato. In particolare nel Nord, nell'area compresa tra Brescia, Milano e il Nordest ma interessante è stato anche lo sciopero di Porta Palazzo a Torino, dove la stragrande maggioranza dei banchi gestiti dagli immigrati è rimasto chiuso. Si è avuto un sussulto, quindi, una risposta coordinata e, per la prima volta, non solo emotiva o "democratica" ma sociale e in grado di mettere in risalto la reale natura del lavoro migrante. Lavoro sottopagato, sfruttato, eppure così importante e utilizzato a piene mani da padroni e padroncini. Che si sia trattato di un successo lo dimostra l'adesione dell'ultimo momento del Pd con l'ex segretario Franceschini che si è affacciato alla manifestazione romana. E addirittura Renata Polverini, candidata per la destra alla presidenza del Lazio ha sentito il bisogno di solidarizzare con lo sciopero. Ci sarà il tempo per fare il conto reale delle iniziative e tirare un bilancio più completo. Ma ci sembra già chiaro che il 1 marzo 2010, nonostante le reticenze, le diserzioni - evidente l'assenza di gran parte della sinistra istituzionale tutta presa con la partita elettorale - alcuni veri e propri boicottaggi segnerà la qualità e le dinamiche del movimento dei-delle migranti in Italia.
La cronaca della giornata«Scioperi in oltre 50 aziende, di cui la metà metalmeccaniche, in decine di cooperative di servizi, in tutti gli istituti professionali frequentati da studenti migranti di seconda generazione e negli uffici pubblici in cui lavoratori e lavoratrici italiani antirazzisti si sono astenuti dal lavoro». Questo il 1°marzo a Brescia secondo il Comitato Primo Marzo che ha promosso la giornata in città. Un corteo di 10 mila persone in grandissima maggioranza di migranti ha sfilato per le vie del centro storico. Lavoratori, studenti e famiglie migranti hanno parlato della loro condizione sociale e delle discriminazioni che sono costretti a subire. Crisi e razzismo : le due parole che hanno continuamente attraversato il corteo. «Oggi a Brescia - recita il comunicato del Comitato - in piazza della Loggia, come nella manifestazione di varie migliaia di migranti del 6 febbraio, c’era la consapevolezza che l’attacco ai diritti e alla libertà di circolazione dei migranti riguarda tutti. Nativi e migranti».In ventimila, secondo gli organizzatori, le presenze stimate al corteo antirazzista di Napoli. Il corteo, partito da piazza Garibaldi, ha raggiunto piazza del Plebiscito dove, per l'intero pomeriggio si sono svolte esibizioni di musicisti e attori. Presenti tutte le comunità presenti sul territorio campano, dal Burkina Faso al Ghana, dalla Nigeria al Marocco, dal Bangladesh al Senegal.In migliaia in piazza anche a Torino con una forte presenza migrante, la maggioranza visibile del corteo con donne e bambini. Il fatto politico più rilevante è stato lo sciopero che si è verificato al grande mercato di Porta Palazzo. L'80% dei venditori di frutta e verdura e il 60% degli ambulanti di abbigliamento non hanno aperto i loro banchi aderendo così allo sciopero. «Un fatto di grande rilievo che dà il segno alla giornata» ci dice con molta soddisfazione Franco Turigliatto, portavoce di Sinistra Critica, praticamente la sola organizzazione politica in piazza. La manifestazione, pacifica e tranquilla, è stata però messa in tensione dalla polizia ferroviaria che ha arrestato uno dei manifestanti, alla stazione, trovandolo senza permesso di soggiorno e preparandogli il foglio di via. Finita la manifestazione si è così fermato un presidio in prefettura per chiedere la liberazione del fermato.A Genova, invece, il sindacato ci ha messo le bandiere ma non ha indetto lo sciopero. Solo due Rsu, Selex (gruppo Finmeccanica) e Brignole (assistenza agli anziani) hanno dato segnali. Così s’è dovuto aspettare che tutti tornassero dal lavoro per muoversi appresso a un corteo che però, così grande, Genova non lo vedeva da un pezzo. Diecimila in strada ma non chiamatelo (ancora) sciopero. E’ cominciata con le lezioni del mattino che il comitato promotore (80 sigle da Sinistra Critica a Sant’Egidio) ha tenuto in scuole elementari e medie ad alta contaminazione a Ponente e nel centro storico per spiegare il ruolo degli stranieri e l’orrore del razzismo. E’ andata avanti con alcuni sociologi dell’università che hanno spiegato il razzismo istituzionale in una lezione all’aperto alla Commenda, crocevia tra levante e ponente ai bordi dei carrugi. Centinaia le maschere bianche seminate lungo il corteo e identiche a quella ritrovata sulla «montagnola di merda» trovata qualche ora prima di fronte a una sede della Lega. Ci sarà un collegamento? Parrebbe una firma. Duglas, edile 28 anni, con i suoi hermanitos Netas, dice al cronista che lo sciopero migrante è proprio una bella idea, ma lui ha lavorato su una delle tante facciate dei palazzi genovesi. Le proposte genovesi per la piattaforma nazionale sono l’abolizione dei Cie e della Bossi-Fini, la riduzione dei costi dei permessi e poterli rinnovare in comune anziché in questura, lo ius solis e il permesso di soggiorno a chi denuncia il lavoro nero.A Verona, diverse centinaia, in grande maggioranza migranti, hanno preso parte alla manifestazione di questo pomeriggio nella centrale piazza Brà. Promossa dal Coordinamento Migranti e fortemente appoggiata dalle forze politiche e sociali della sinistra cittadina (Attac, Sinistra Critica, Circolo Pink, collettivo La Chimica), si può dire che quella di oggi sia stata una prima fondamentale prova per proseguire nella mobilitazione per i diritti dei migranti e di tutti i lavoratori, contro la crisi ed il razzismo.Si è registrata anche qualche ora di sciopero effettivo in alcune aziende, dove è presente la Fiom Cgil.In 10 mila, secondo gli organizzatori, hanno partecipato allo sciopero dei migranti a Bologna. Tra di loro anche operati della Ducati e della Bonfiglioli, ma la mobilitazione si è estesa anche ad altre aziende della zona. La manifestazione è iniziata alle 15 con un presidio molto affollato in piazza Nettuno. Poi alle 17.30 è partito il corteo che si è prima fermato davanti alla prefettura e ha poi percorso le vie del centro storico per concludersi da dove era partito. È stata una protesta colorata e allegra, scandita dalla musica e dai diversi accenti degli interventi al microfono. Molti i cartelli e gli slogan contro la legge Bossi-Fini e il pacchetto sicurezza: «Abbiamo sempre sognato una giornata così, oggi possiamo essere felici», ha esultato la portavoce, Cecile Kyenge Keshetu. In corteo anche le bandiere di sindacati, partiti e degli studenti medi e dell'Onda, oltre a comitati e associazioni attivi nel mondo dell'immigrazione provenienti da tutta la regione. A chiudere la sfilata è stata la musica della Banda Roncati, mentre in testa ha svettato per tutto il tempo una bandiera anarchica.A Liivorno diverse centinaia di persone, all'80% migranti, hanno partecipato alla manifestazione. Il soggetto che si è mosso nell'iniziale indifferenza e solitudine per costruire la giornata è stato il comitato per il diritto al lavoro (struttura di precari , lavoratori, cassantigrati). Dopo una buona assemblea dei migranti (per la situazione di livorno) sabato, stamattina incontro con sindaco, prefetto e questore e poi il presidio-manifestazione. Presenti SdL, Unicobas, movimento antagonista livornese, Fai, Sinistra Critica, Unione Inquilini, Rifondazione, Verdi livornesi (contro l'accordo con Rossi). Da sottolineare la completa assenza di Cgil e Arci.A Roma, il corteo si è mosso intorno alle 18 con in testa gli immigrati di Rosarno che dopo la caccia all'uomo subita in Calabria si sono rifugiati nella capitale. Dietro il camion della rete romana antirazzista - formata dai centri sociali romani, Sinistra Critica e Prc - hanno partecipato 5.000 persone. Partecipazione soprattutto spontanea, con piccoli gruppi organizzati di migranti, studenti, associazioni. Durante il corteo è giunta dal Pigneto la notizia di un nuovo raid dei Carabinieri contro i senegalesi residenti a via Campobasso, esattamente come successo lo scorso 5 ottobre. I residenti del palazzo di via Campobasso sono entrati infatti nel mirino delle forze dell'ordine per la forte pressione dei proprietari del palazzo che vorrebbero sfrattarli per affittare a ben altri prezzi gli appartamenti dove da ventanni risiedono i senegalesi. Otto di loro sono stati trattenuti, ma dopo la minaccia del corteo di spostarsi in massa sotto il commissariato, sono stati rilasciati pur con denuncia per contraffazione.Successo anche per la mobilitazione di stamattina a Milano. Il corteo ha visto infatti oltre 2000 persone con molti migranti, molti di più di quanti se ne aspettavamo i promotori. Tra i quali vanno notati l'Sdl, la Fiom, il Coordinamento anticrisi, fabbriche in lotta come la Maflow, e poi Sinistra critica e altri ancora.Nel pomeriggio il Coordinamento per lo sciopero migrante ha emesso un primo comunicato per fare il punto sullo sciopero vero e proprio: "Da quanto sappiamo, fino a ora, oggi primo marzo 2010, l’impossibilesciopero ha coinvolto oltre 50 aziende a Brescia, 4 a Bologna, 10 a Reggio Emilia, 7 a Parma, 3 a Suzzara nel basso mantonvano. Si tratta di fabbriche metalmeccaniche, cantieri edili, cooperative di servizi. Non ci sono solo numeri importanti, ma anche presenze rilevanti. Nei prossimi giorni aggiorneremo questo elenco, perché giungono notizie di fermate spontanee e di altri scioperi. Sarà necessario di analizzare con attenzione la composizione di questo sciopero, rendendo pubblici i nomi di tutte le aziende coinvolte. E non possiamo dimenticare le centinaia di migranti che individualmente stanno godendo della loro libertà di sciopero, anche se la loro Rsu non c’è o non ha dichiarato lo sciopero.Intanto in mattinata, a Roma, gli studenti dei Colletivi e di Ateneinrivolta hanno realizzato un "blitz" al Ministero dell'Istruzione «per denunciare il "divieto d'accesso" che questo governo impone a studenti e studentesse stranieri (o nati in italia ma figli di migranti) alle scuole primarie, secondarie e all'istruzione superiore».Oggetto della contestazione «il vergognoso decreto che impone un tetto del 30% di ragazzi stranieri negli istituti scolastici» e con esso «la follia razzista delle classi differenziali nelle scuole primarie». L'iniziativa di protesta si è svolta con un enorme Divieto di Accesso - eccetto per bianchi/ricchi/italiani - a simboleggiare il divieto che il governo vuole imporre ai ragazzi migranti.
La mappa delle iniziative

LA BELLA GIORNATA DEL I MARZO


Pienamente riuscita la giornata di mobilitazione dei migranti contro il razzismo e lo sfruttamento in tutto il paese e a TorinoLe compagne e i compagni trovano qui di seguito il report dei due compagni nostri (Ennio e Gippò), maggiormente impegnati nel movimento, hanno prodotto per informazione e commento politico.


Migliaia di persone hanno partecipato alla manifestazione indetta dal coordinamento migranti e le realtà antirazziste torinesi, formatosi per la preparazione del 1°marzo, giornata di lotta per i diritti e la dignità, contro il razzismo e lo sfruttamento. Già dalle prime ore del mattino si coglieva la straordinarietà della mobilitazione. In particolare, Porta Palazzo si svegliava incredibilmente vuota per l'assenza del 90% dei banchi: hanno scioperato gli immigrati che nella notte li montano, nonostante che i sindacati di Torino, nota dolente, non avessero indetto lo sciopero cittadino così come è stato fatto in altre città. Un risultato conseguito anche grazie al lavoro congiunto degli studenti e gli insegnanti del collettivo Gabelli, scuola per adulti frequentata da immigrati, presente quasi tutti i giorni della settimana durante le ore del mercato e per tutto il venerdì sera assieme anche ad alcuni compagni di Sinistra critica; dell'aria anarchica che ha discusso la notte con chi montava e del circolo mariateguista che è intervenuto all'alba del 1° marzo.
Alle 17 il giallo, simbolo della giornata e mille altri colori cominciava a dominare il grigio piazzale davanti alla stazione di Porta Nuova. Significativa era la presenza dei migranti, molti dei quali giovani, africani, maghrebini, ma anche asiatici, da anni assenti o ai margini delle manifestazioni antirazziste torinesi. Occorre notare, inoltre, la partecipazione colorata del collettivo Gabelli a cui si sono unite altre scuole con una forte concentrazione di studenti immigrati e la presenza del collettivo immigrati autorganizzati. Dal furgone del Gabrio, che ha lavorato intensamente alla buona riuscita della giornata, la musica si alternava agli interventi degli organizzatori e degli immigrati che raccontavano le loro storie di vita. La sola forza politica organizzata presente era nei fatti Sinistra Critica che ha fortemente creduto all'importanza della giornata e ha contribuito nei giorni precedenti alla sua riuscita; mentre tra le forze sindacali vi era una discreta presenza delle rdb e della cub e una scarna delegazione della Cgil, fino all'ultimo indecisa se aderire o meno, mentre alcune Rsu della Fiom hanno sorretto l'iniziativa. L'unico sindacato che ha dichiarato lo sciopero, valido solo per il comparto scuola, è stato il Sisa.
Stupisce, invece, l'assenza organizzata della Federazione della sinistra e della galassia dispersa della sinistra radicale, presente solo con alcuni consiglieri comunali e regionali e alcuni militanti sparsi (tra cui alcuni interni al coordinamento), che cercavano di spiegarsi la ragione di questa vistosa assenza. Non per essere maligni, ma evidentemente i pensieri sono rivolti altrove e gli immigrati, come si sa, non portano voti. Tra i moderati, solo l'associazione radicale Adelaide Aglietta ha partecipato alla costruzione torinese orientando la sua azione esclusivamente nella difesa dei diritti civili. Il tentativo di settori del Pd di attenuare di attenuare la carica conflittuale della giornata rivendicando un antirazzismo genericamente culturale è fallito.
Il corteo partiva, dunque festoso, gioioso e determinato nel rivendicare diritti e dignità, quando l'annuncio dell'arresto di un ragazzo senegalese, fermato e trattenuto dalla polizia ferroviaria perché privo di documenti, coglieva tutti di sorpresa. La testa del corteo decideva così di fermarsi, mentre nel frattempo gli organizzatori tentavano una difficile trattativa con la digos per ottenere il rilascio del ragazzo. Di fronte alla risposta negativa, i manifestanti rispondevano nel modo giusto alla provocazione: proseguire col corteo attraversando le vie di san Salvario per poi ritornare a Porta Nuova, chiedendo a gran voce la liberazione del ragazzo. Una volta raggiunta la stazione, i giovani immigrati non cedevano alle ripetute provocazioni della polizia e formavano un presidio che alla fine riusciva ad imporre la liberazione del giovane senegalese, a rischio Cie o galera, dal momento che la clandestinità costituisce un reato. In questo caso, anche l'aria anarchica ha avuto un ruolo positivo: presente alla manifestazione ha seguito lo spirito pacifico del corteo dimostrando di aver compreso il valore e la presenza di un movimento reale di migranti. Azioni ribellistiche, che la provocazione dell'arresto del senegalese avrebbero potuto indurre, avrebbero infatti avuto un segno negativo e sarebbero state usate contro i migranti.
Una vittoria importante a conclusione di una giornata di lotta entusiasmante che ha rappresentato un passo in avanti nell'autorganizzazione dei migranti, elemento imprescindibile della costruzione di un ampio e vasto movimento contro la crisi e il razzismo.