domenica 11 aprile 2010

Che mangino spazzatura: capitalismo e alimentazione


Intervista di Socialist Project a Rob Albritton*. [Estratti]

Let Them Eat Junk: How Capitalism Creates Hunger and Obesity [Che mangino spazzatura: come il capitalismo crea fame ed obesità] di Rob Albritton, ci offre un’analisi di cui c’è grande bisogno di «come la fissazione del capitale sul profitto ci ha portati in profondità dentro un sistema di produzione alimentare pericolosamente insostenibile, un sistema totalmente fallimentare rispetto alla giustizia distributiva e alla salute dell’ambiente». La sua analisi mostra come le «strutture profonde» del capitalismo gestiscono i sistemi agricolo ed alimentare in modi irrazionali.

Socialist Project: Lei ha scritto molti libri sulla teoria marxista e sull’economia politica: perché un libro sul cibo?

Rob Albritton: Dopo il mio ritiro dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di York, dove ho insegnato teoria politica ed economia politica per 36 anni, ho avuto più tempo per fare ricerca e studiare……e ho dedicato la maggior parte del tempo a scrivere questo libro sul sistema alimentare: un argomento che si è rivelato molto più ampio delle mie aspettative iniziali. Più approfondivo la materia, più scoprivo le numerose interconnessioni tra le nostre crisi ecologica, sociale e sanitaria, la crisi economica e il sistema alimentare globale.
Lo studio dell’impatto del capitalismo sul cibo e sull’agricoltura è una fonte particolarmente ricca per individuare le connessioni tra la lotta per il socialismo e la lotta per la sostenibilità ecologica……

SP: Molti libri e articoli pubblicati di recente offrono critiche del controllo delle multinazionali sul sistema alimentare. Che cosa possono attendersi i lettori di trovare nel suo libro che manca in altre critiche?

RA: Dopo 40 anni di studio del capitalismo credo che nessuna singola opera è più avanzata de Il Capitale per capire la sua logica e la sua dinamica interne. È stata la mia guida, più di ogni altro lavoro, nel mio obiettivo centrale di capire come il capitalismo ha strutturato il nostro sistema alimentare…..,.Questo libro è la critica più radicale scritta finora del sistema alimentare capitalista….perché mette in luce la connessione tra la crisi alimentare e le altre crisi del capitalismo avanzato, e illustra come l’indifferenza del capitale verso il valore d’uso è particolarmente distruttiva quando il capitalismo incorpora e mercifica il sistema alimentare.

SP: Quali sono le scoperte più interessanti e/o sorprendenti che ha fatto nelle ricerche e nello scrivere il libro?

RA: …Ne cito qualcuna. La prima, sono stato colpito dall’immenso potere dell’industria dello zucchero. Lo zucchero è uno dei componenti dell’alimentazione che costa meno, dà più dipendenza e più profitti. Come risultato ce n’è sempre di più nei nostri cibi elaborati, anche se è il primo sospetto nell’attuale epidemia mondiale di diabete… La seconda, sapevo in generale che [ci sono] fame e malnutrizione, non sapevo che circa metà della popolazione mondiale guadagna 2$ al giorno o meno, e che circa un miliardo di persone sono handicappate mentalmente a causa della malnutrizione. Infine, il nostro sistema alimentare diffonde veleni nell’ambiente; ha avuto la parte più importante nella deforestazione, nella diminuzione delle nostre riserve di acqua e nella degradazione dei suoli; dà un pesantissimo contributo al riscaldamento globale, e sta rapidamente esaurendo le rimanenti risorse di combustibili fossili. In breve, non solo mina la salute umana ma ci porta anche al disastro ecologico.

SP: Quali sono i temi principali che lei tratta? Quali i maggiori fallimenti associati ad un sistema agroalimentare controllato dalle «strutture profonde» del capitale?

RA: ………..I temi principali del libro sono il fallimento del sistema alimentare nel promuovere la salute umana, la salute dell’ambiente e la giustizia sociale, e la connessione tra la crisi alimentare e le miriadi di altre crisi caratteristiche del tardo capitalismo.
Il comportamento razionale sotto il capitalismo richiede che i capitalisti spostino continuamente la produzione dai beni e servizi che non danno profitto (e che con il tempo li porterebbero alla bancarotta) ai beni e servizi che danno profitto. Dato che la concorrenza li costringe a massimizzare il profitto a breve termine, è questo risultato quantitativo e non la qualità dei valori d’uso che diventa l’obiettivo preponderante. Ad esempio, se un capitalista sa che aggiungendo più zucchero ai cibi per bambini i profitti aumenteranno, sia perché lo zucchero è un ingrediente a costo molto basso sia perché i bambini mangeranno più cibi per bambini e da adulti mangeranno più zucchero, un capitalista razionale lo farà, malgrado i molti studi che dimostrano che un desiderio per lo zucchero che confina con la dipendenza si può stabilire molto presto nei bambini tramite una dieta di cibi ricchi di zucchero. Il capitalista non può permettersi di preoccuparsi per una intera vita di obesità con le malattie connesse che una tale dieta può determinare. In breve, per essere razionale, il capitalista deve concentrarsi sul profitto (quantità) e non sulla qualità di vita degli umani (o valori d’uso), a meno che quella qualità possa essere facilmente convertita in profitti. Ugualmente, se l’olio di palma dà profitto, e il modo più facile per espandere la sua produzione è tagliare le rimanenti foreste pluviali del Sud-Est asiatico, un capitalista razionale non esiterà a farlo. Infine, se i proprietari traggono profitto dal dare paghe basse a braccianti senza documenti, qualsiasi proprietario che non lo faccia perderà rispetto alla concorrenza. Sfortunatamente queste e molte altre tendenze distruttive sono fin troppo correnti.

SP: Come la crisi nel sistema alimentare si relaziona con le più ampie crisi economica ed ecologica dell’attuale fase del capitalismo neoliberista? Come si ripercuoteranno e saranno risentiti globalmente i suoi impatti?

RA: La crisi alimentare nutre le altre crisi che a loro volta la nutrono. Il sistema alimentare americano è talmente dipendente dai combustibili fossili che è stato stimato che se tutto il mondo adottasse il sistema USA, tutte le riserve conosciute di combustibili fossili verrebbero esaurite in sette anni. In effetti, con circa un terzo del totale, il sistema alimentare contribuisce più di ogni altro settore dell’economia al riscaldamento globale. A sua volta il riscaldamento globale ridurrà il rendimento dei raccolti a causa delle temperature più elevate e dei fenomeni estremi. Inoltre, per citare solo due delle molte cause di inquinamento: il massiccio uso di prodotti petrolchimici in agricoltura, combinato con l’inquinamento delle masse di acqua fresca da parte degli allevamenti di animali al chiuso rende il sistema alimentare capitalista uno dei principali responsabili dell’avvelenamento dell’ambiente, che sta raggiungendo livelli preoccupanti.
Infine, data la dipendenza del sistema alimentare dal petrolio, il prezzo dei prodotti alimentari aumenterà con il prezzo del petrolio, e l’uso di terreni agricoli per la produzione di etanolo spingerà i prezzi ancora più in alto. Anche la diminuzione dei raccolti dovuta al riscaldamento globale e ai fenomeni estremi farà aumentare i prezzi dei prodotti alimentari. In assenza di un’ azione immediata, questi aumenti dei prezzi diventeranno presto disastrosi per il 40 per cento della popolazione mondiale che vive con 2$ o meno al giorno.


SP: La sua risposta riguarda come il capitalismo crea la fame. Può spiegare come nello stesso tempo produce l’obesità?

RA: I produttori di cibo spazzatura, che si approfittano della facilità con la quale le persone diventano semidipendenti dallo zucchero, dai grassi e dal sale, forniscono ai consumatori una grande quantità di calorie ma scarse sostanze nutritive. Dipendenti dal cibo spazzatura e mancando del reddito per permettersi cibi più nutrienti, le persone consumano troppe calorie e insufficienti sostanze nutritive. Questa è una ricetta per l’obesità, un sistema immunitario indebolito e infine malattie e morte. Un rapporto pubblicato dalla American Medical Association sostiene che se l’attuale pratica continua, un terzo dei bambini americani nati nel 2000 contrarrà il diabete. Ancora più gravi di quella che molti hanno chiamato la «pandemia dell’obesità», sono la fame e la malnutrizione sofferte da oltre un miliardo di persone nel mondo. È stato calcolato che ogni mezz’ora una media di 360 bambini di meno di cinque anni muore di fame o di malattie causate dalla fame.

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SP: Lei descrive l’attuale fase del capitalismo in termini di «economia capitalista di comando». Può spiegare brevemente che cosa significa e come inquadra i problemi che lei pone nel capitolo conclusivo del suo libro su «la lotta per la democrazia, la giustizia sociale, la salute e la sostenibilità»?

RA: L’industria alimentare esalta sempre la straordinaria scelta che offre ai moderni consumatori, ma è un’illusione. Primo, perché la maggior parte delle persone nel mondo sono troppo povere per comprare altro che i cibi a prezzo più basso. Secondo, quelli che hanno il denaro si trovano di fronte una enorme sfilza di cibi elaborati che sono in larga misura rielaborazioni di soia, granoturco, grassi, zucchero e sale. Chi è allergico alla soia GM dovrà evitare la maggior parte dei cibi elaborati, poiché moltissimi di questi contengono soia e sottoprodotti della soia e non c’è obbligo di etichettatura per gli OGM. Terzo, l’indottrinamento alimentare è talmente diffuso e potente che molte scelte alimentari sono già pesantemente condizionate dal sistema alimentare avvelenato e dalle sue potenti tecniche di mercato. Quarto, quasi tutti i cibi in un tipico supermercato sono prodotti da poche colossali multinazionali (ad es. Nestlé e Kraft).

Durante la «guerra fredda», gli economisti occidentali spesso mettevano in contrasto le «economie di comando totalitarie», caratteristiche del blocco comunista, con le «economie del libero mercato», caratteristiche del blocco capitalista. Oggi, l’economia capitalista mondiale dovrebbe essere definita come una «economie di comando delle grandi imprese», poiché le grandi imprese gestite da piccole élite hanno un immenso potere incontrollato per determinare il futuro dell’umanità. Oggi i mercati sono in gran parte strumenti di pianificazione utilizzati dalle grandi imprese per creare sia l’offerta che la domanda. Si fanno grandi profitti, mentre i costi sociali ancora più grandi (esternalità non comprese nei prezzi di mercato) dovranno essere pagati dai contribuenti e dalle future generazioni.

In realtà i mercati non hanno mai funzionato come sono dipinti dall’ideale di ottimalità che molti economisti hanno ipotizzato, ma attualmente questo ideale è talmente radicato che può ancora essere usato per giustificare i «liberi mercati», quando in realtà vediamo le grandi imprese usare sempre più i mercati come strumenti di pianificazione per massimizzare i loro profitti a breve termine mentre creano pesantissimi costi a lungo termine per la società. Tali costi possono essere visti come debiti che le future generazioni dovranno pagare. Che si tratti di debiti economici, ecologici o sanitari.

Dobbiamo ribaltare questo stato di cose, e dobbiamo farlo presto. Ciò richiede di liberare le nostre menti dal mito del libero mercato, cosicché possiamo cominciare ad usare consapevolmente i mercati come meccanismi di pianificazione democratica per promuovere il benessere umano e ambientale.

Oltre a democratizzare i mercati dobbiamo anche democratizzare le grandi imprese e i governi. Democratizzare le grandi imprese significa rendere trasparenti i loro processi decisionali in modo da renderle controllabili pubblicamente. Il primo passo per democratizzare i governi è trovare il modo di impedire che siano tenuti in ostaggio dalle grandi imprese.

Nelle attuali circostanze, è particolarmente importante democratizzare il mercato del lavoro. Ci saranno sempre bisogni sociali insoddisfatti, e perciò ci dovrebbero sempre essere lavori per soddisfare tali bisogni. I mercati del lavoro attuali sono strumenti estremamente inefficienti per mobilitare le energie umane in funzione del soddisfacimento dei bisogni umani. La tecnologia informatica potrebbe essere usata per trovare nuove vie per dare la priorità ai bisogni umani e per mobilitare l’intelligenza umana e la ricchezza materiale al fine del loro soddisfacimento. Chiunque voglia lavorare e sia in grado di farlo non dovrebbe mai essere disoccupato se non per acquisire le capacità necessarie a soddisfare bisogni particolari, e una tale educazione dovrebbe essere sovvenzionata.

Infine, e questo è forse il più difficile, dobbiamo trovare il modo di ridistribuire la ricchezza su scala mondiale al fine di fare progredire l’uguaglianza necessaria affinché la democrazia sia effettiva e la libertà abbia un senso. Democratizzare i mercati, le grandi imprese e i governi non è, a mio avviso, una «via di mezzo» che compromette la sua anima con il neoliberismo, ma è la miglior via in avanti a cui posso pensare, che offre una via d’uscita giusta ed umana dalla miriade di crisi che abbiamo di fronte.

* da http://www.socialistproject.ca/rela...

* Rob Albritton è Professore emerito dell’Università di York.

[da : Europe solidaire sans frontières]

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