giovedì 30 dicembre 2010

Uno sciopero quasi generale


La Fiom proclama otto ore di sciopero per il 28 gennaio e invita movimenti, associazioni e partiti ad aderire. La battaglia contro la Fiat diventa sempre più questione generale e chiama in causa la politica


Salvatore Cannavò
da Il Fatto quotidiano
La risposta della Fiom alla Fiat si chiama “sciopero”. Di otto ore proclamato per il 28 gennaio in tutto il comparto metalmeccanico, e non solo nel gruppo Fiat come era nelle intenzioni iniziali. E poi, raccolta popolare di firme contro l'accordo; dichiarazione di “illegittimità” del referendum di Mirafiori – in quanto si tiene su diritti “non disponibili” come lo sciopero o la salute - senza indicazione di voto; un'assemblea di delegati il 3 e 4 febbraio per decidere come proseguire la lotta. Una risposta dura, quindi, che più che a Sergio Marchionne sembra rivolta al resto del mondo industriale per avvertire che se il modello di Pomigliano e Mirafiori verrà esportato allora la conflittualità in fabbrica sarà destinata a crescere. Sulla sua proposta, il segretario generale Maurizio Landini ottiene un consenso forte, 102 voti a favore, nessun contrario e 29 astenuti che appartengono alla minoranza guidata da Fausto Durante. Che si astiene, e non vota contro, perché non condivide l'accordo di Mirafiori ma, allo stesso tempo, continua a non condividere la linea che la Fiom si sta dando. L'area legata alla maggioranza della Cgil – che però perde il pezzo di “Lavoro&Società - propone infatti di dare battaglia esplicita per il No al referendum e di firmare “tecnicamente” l'accordo in caso di vittoria dei Si.
La linea della Fiom, invece, resta quella di sempre: fermezza sulla difesa del contratto nazionale, strategia conflittuale, un certo “movimentismo”, come quando si richiede ai vari soggetti che hanno aderito alla manifestazione nazionale del 16 ottobre di tornare a farlo a fine gennaio nelle varie manifestazioni regionali. L'idea, non esplicitata, è quella di realizzare una giornata a metà strada tra lo sciopero di categoria e lo sciopero generale, già richiesto alla Cgil ma che Susanna Camusso non ha intenzione di proclamare. Anche se, questa volta, le distanze tra Fiom e Cgil si riducono. Vincenzo Scudiere, della segreteria nazionale di Corso Italia, è intervenuto al Comitato centrale dei metalmeccanici con una posizione dialogante - “l'accordo di Mirafiori serve a buttare la Fiom” - e in questo momento la battaglia contro Sergio Marchionne è comune. La differenza principale è che Susanna Camusso spera in una presa di distanza da parte di Confindustria, e punta a rilanciare un nuovo tavolo sul modello contrattuale e sulla rappresentanza, mentre in Fiom considerano questa eventualità o “illusoria” oppure “poco probabile”.
In ogni caso lo sciopero, come spiega lo stesso Landini, serve per dire alle imprese “di non seguire la Fiat”. Perché se davvero si vuole andare con la logica aziendalista del “caso per caso”, allora la Fiom è preparata all'evenienza. Non è un caso che lo sciopero sia seguito da un'assemblea dei delegati per discutere del contratto nazionale futuro, da riconquistare, ma anche di come proseguire quella che Cremaschi chiama “la guerra dei trent'anni”.
Il problema di strategia, in ogni caso, esiste. A caldo si tratta di dimostrare la compattezza dell'organizzazione e tutte le anime che compongono la maggioranza, da quella più radicale di Cremaschi a quella più sindacale di Airaudo fino allo stesso Landini, sono concordi nel sottolineare l'importanza della riunione di ieri, la sua “consapevolezza” e la sua “determinazione”. Anche l'astensione della minoranza è valutata positivamente. Nel medio periodo, però, la sfida più dura è quella di riconquistare il contratto. Basterà lo scontro frontale, la “guerra di movimento” di cui parla Cremaschi o, semplicemente, il movimentismo tenace di Maurizio Landini? Le alleanze vanno dai centri sociali di Luca Casarini fino alla politica più classica. Si guardi, ad esempio, all'Associazione “Lavoro e Libertà” nata su iniziativa di Sergio Cofferati, Fausto Bertinotti, Rossana Rossanda, Stefano Rodotà, Luciano Gallino e altri. Per ora niente di più che una forma di sostegno alla Fiom ma anche un'allusione a quel “Partito del Lavoro” di cui hanno parlato, in momenti diversi, sia Cofferati che Bertinotti ma soprattutto Gianni Rinaldini, oggi portavoce della minoranza Cgil ma che resta sempre il “nume tutelare” dell'attuale Fiom. Una prospettiva aleatoria che però la crisi verticale del Pd potrebbe improvvisamente far tornare di attualità. Del resto non è un caso se Landini abbia ieri invitato proprio il Pd ad “andare a lavorare in fabbrica” prima di esprimere i suoi giudizi sulla vertenza di Mirafiori.
L'altra questione è come cambierà il rapporto con la Cgil. Oggi, sull'onda dell'iniziativa di Marchionne, la Cgil che non ha molte chances di ricostruire un quadro unitario con Cisl e Uil e nemmeno di riuscire a dividere la Fiat da Confindustria. Ma in Fiom, nella stessa maggioranza, c'è chi pensa che Fiom e Cgil non possano andare avanti “disallineate” e debbano trovare una più convinta unità. “Marchionne ha mutato il quadro – ci dice Giorgio Airaudo, segretario piemontese – e la geografia interna al sindacato uscita dal congresso non è più sufficiente”. Al negoziato, sia pure al ribasso, sulla rappresentanza non crede nessuno ma se quel tavolo si aprisse tutto il dibattito sindacale ne verrebbe modificato.

martedì 28 dicembre 2010

Recuperare l'Internazionalismo


Molte lotte in questi mesi si sono svolte in Italia e in Europa, ma tutte con il limite di non essere
collegate alla comune consapevolezza che le politiche governative e le ristrutturazioni sono decise dagli organismi dell'Unione e dai gruppi multinazionali.

Ai lavoratori, al movimento sindacale è mancata una organizzazione, un coordinamento internazionale, almeno a livello europeo che impedisse ai padroni di mettere in competizione i lavoratori di una fabbrica con l'altra, di uno stato con l'altro.
Ciò che avviene nella produzione dell'auto illustra perfettamente il nodo del problema. Nel mondo ci sono troppe fabbriche di auto rispetto a quante se ne vendono. I padroni ricattano - come fa Marchionne - i lavoratori a chi si fa sfruttare di più in cambio della promessa di lavoro. Come può una organizzazione sindacale non essersi posta il problema di una dimensione europea per impedire la concorrenza tra lavoratori? Dopo la crisi degli anni '80 la borghesia europea ha impresso un'accelerazione per costruire l'Unione e coordinare le sue politiche contro i lavoratori. Che queste politiche fossero finalizzate a lasciare mani libere al capitale nel massimo sfruttamento dei lavoratori, la borghesia non ne ha mai fatto mistero. Sono i sindacati e la sinistra - anche la quella che si pensa radicale - che non hanno mai voluto affrontare il problema.
Oggi i problemi non sono neanche risolti per i padroni dell'auto. La profondità della crisi li
costringe e li costringerà a fare ovunque ciò che Marchionne fa a Termini Imerese, Pomigliano e Mirafiori. Quello che i compagni del sindacato di classe della Fiat di Tychy hanno detto a Torino nell'incontro organizzato da Sinistra Critica, descrive lo stesso atteggiamento della Fiat in Italia e in Polonia. Non è mai troppo tardi per iniziare a coordinare le azioni a difesa di tutti i lavoratori, ovunque collocati, contro i padrone multinazionale.
Coerentemente con questa necessità, dopo il primo incontro tra lavoratori della Fiat di Torino e di Tychy, stiamo lavorando ad un incontro europeo tra rappresentanze sindacali di stabilimenti di produzione automobilistica in Europa, per aiutare a costruire la dimensione necessaria alle lotte sindacali.
Sinistra Critica, nella difficoltà del momento, non perde di vista le risorse che comunque restano ai lavoratori, che, se liberate dalle catene ideologiche delle burocrazie sindacali, sono tante.
Aiutiamole a ricostruire gli obiettivi per difendere il posto di lavoro, il reddito, i diritti e la dignità,contrastando l'unica forza del padrone, la rassegnazione dei lavoratori.

Adriano Alessandria RSU della Lear di Grugliasco (Torino)

A FIANCO DEI LAVORATORI CONTRO MARCHIONNE E TUTTI I SUOI AMICI


L’offensiva a tutto campo del padronato contro la classe operaia giunge al suo culmine, dopo Pomigliano, con l’assalto di Marchionne alle lavoratrici e ai lavoratori di Mirafiori. E’ parte integrante di quella guerra sociale che le borghesie europee e i loro governi di centro destra e centrosinistra hanno scatenato con sempre maggiore forza nell’ultimo anno contro la classe lavoratrice.

La guerra totale contro i lavoratori

Marchionne vuole e impone tutto: sindacati di facciata, diretta espressione della volontà padronale che vivranno solo perché funzionali ad incatenare i lavoratori; esclusione dalla fabbrica di ogni sindacato vero che voglia rappresentare gli interessi dei lavoratori e difenderne diritti, salari e condizioni di lavoro; abolizione di diritti costituzionali fondamentali, a partire dal diritto di sciopero e dalla libera organizzazione sindacale; pesanti sanzioni e licenziamento per quei lavoratori che cercheranno di promuovere qualsiasi azione di difesa individuale e/o collettiva; regime di orari e di sfruttamento bestiali per incrementare fino all’ultimo centesimo i profitti ai moderni e brutali padroni delle ferriere.

Un mondo a parte - ma solo fino a un certo punto - perché il modello Marchionne corrisponde a quello che i padroni in tante parti del mondo già fanno o che sperano di fare. Una concorrenza spietata tra di loro in un periodo di difficoltà del capitalismo con i lavoratori ingaggiati nella guerra (in questo caso quella dell’auto) per combattere e morire, carne di cannone sull’altare dei profitti.
L’accordo di Mirafiori è dunque un a metafora perfetta di come il capitalismo concepisce il mondo: un lavoro da schiavi per produrre una merce per i ricchi (soprattutto americani, ma non solo) nociva e distruttiva dell’ambiente.
Pomigliano e Mirafiori parlano a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, a tutte le categorie: quel che si vuole per la Fiat, ben presto lo si vorrà per tante altre aziende e settori, è un veleno che percorrerà tutto il paese; l’attacco coinvolge tutto il mondo del lavoro; il grido dall’allarme va lanciato più forte possibile perché l’incendio è senza precedenti e prima che sia troppo tardi.
La mobilitazione generale, che da tempo avrebbe dovuto essere stata costruita, oggi non è più rinviabile e deve essere perseguita nei prossimi giorni, nelle prossime settimane da tutte quelle forze sindacali, a partire dalla Fiom, e dalle forze politiche e movimenti sociali che scelgono di schierarsi senza se e senza ma , dalla parte dei lavoratori contro Marchionne, la Fiat, la Confindustria e i tanti che li sostengono.
Sinistra Critica esprime la propria totale solidarietà ai lavoratori di tutta la Fiat e mobiliterà tutte le sue forze per sostenere i lavoratori in uno scontro durissimo partecipando a tutte le iniziative unitarie che si prefiggono questo obbiettivo.

Il bilancio di un anno

Nello stesso tempo è necessario interrogarsi su come, quello che sta avvenendo sia stato reso possibile, perché la Fiat pensa di poter varcare impunemente il Rubicone di diritti essenziali dei lavoratori e perché intorno ad essi non c’è stata fino ad oggi la necessaria solidarietà.
E’ da anni che le politiche liberiste del padronato non trovano nessuna reale risposta generale; in particolare nel nostro paese; è da anni che non solo il centro destra, ma il centro sinistra praticano le politiche liberiste più antipopolari, è da anni che pezzo dopo pezzo tutte le conquiste economiche, sociali e democratiche vengono smantellate. E’ da anni che le grandi confederazioni sindacali, si fanno complici di queste politiche o, come la Cgil, non organizzano nessuna risposta.
Il solo bilancio di quest’anno è impressionante: tagli senza precedenti a Regioni e enti locali, cioè tagli ai servizi sociali; precarietà senza fine e cassa integrazione per centinaia di migliaia di lavoratori; aumento dell’età pensionabile per le lavoratrici del pubblico impiego, ma anche una ennesima controriforma pensionistica che colpisce tutti, passata nel silenzio; disdetta del contratto per un milione mezzo di metalmeccanici; blocco per 4 anni della contrattazione per 3 milioni di lavoratrici e lavoratori pubblico. E un governo che si propone di fare quello che già fa Marchionne, chiudere lo statuto dei lavoratori.
E ancora: dopo la distruzione della scuola media con prima controriforma Gelmini, oggi ecco la distruzione della università pubblica con la legge approvata il giorno stesso dell’accordo Fiat. E qualcuno, il segretario del PD, ha il coraggio di dire che questo governo non fa niente…. L’unica che non fa niente è la cosiddetta opposizione parlamentare, che ha avallato o lasciato passare, senza alcuna vera contrapposizione, tutte queste vergognose misure contro un movimento dei lavoratori, sempre più solo e disperato.

Quelli che stanno con Marchionne

In tutti questi mesi la Fiat ha trovato una sola opposizione, quella della Fiom e dei sindacati di base; ha avuto dalla sua parte i sindacati complici (CISL, UIL e aggregati), tutta la destra e gran parte del centro sinistra.
Per quanto riguarda la CGIL, essa si è preoccupata solo di distinguersi dalla Fiom e di invitare i padroni italiani a una maggior “ragionevolezza”. Essa, come molti altri, ha voluto dimenticarsi del vecchio detto. “se dai un dito al padrone, questi si prendere prima la mano, poi il braccio, poi…”
In altri termini tutti questi hanno dato il via libera alla guerra totale di Marchionne o non l’hanno ostacolata. Sostegno alla Fiat e isolamento per i lavoratori, quelli della Fiat, ma anche di tutti gli altri perché la sconfitta alla Fiat sarebbe ben presto la sconfitta di tutti.

E’ una vergogna che le istituzioni, invece di stare coi lavoratori chiedendo alla Fiat il rispetto della Costituzione, dei diritti del lavoro, dei contratti collettivi, (tanto più dopo i miliardi pubblici che le sono stati dati), invitino i lavoratori a rassegnarsi adeguandosi a uno sfruttamento sempre più duro da schiavi-robot.
A Torino, il sindaco e vicesindaco, sono arrivati a dire che destino di Mirafiori e della città è nelle mani dei lavoratori. La verità è che il destino di Mirafiori e della città è lasciato nelle mani di una
Fiat sempre più americana e che coloro che sono stati eletti per fare gli interessi dei cittadini sono sempre più i servi sciocchi e complici della azienda e di una famiglia Agnelli che ormai ha deciso
di sbarazzarsi dell’ingombrante settore auto. In quanto ai candidati del PD alle prossime elezioni comunali, in forme diverse, quasi tutti si sono precipitati a sostenere l’accordo vessatorio. Vergogna.
Per quanto riguarda la CGIL di Camusso, la preoccupazione di questa organizzazione che punta al nuovo patto sociale con una Confindustria, strattonata dalle fughe in avanti di Marchionne, invitare i padroni stessi ad “adoperarsi” perché Marchionne rientri nell’alveo dei diritti è di costituzionali. Sarebbe meno utopistico chiedere alla tigri di diventare vegetariane. Nel frattempo, nonostante le richieste sempre più pressanti che arrivano, (dalla Fiom, dai movimenti sociali, a partire dal quello dei giovani studenti) ai dirigenti della maggioranza della CGIL l’idea di uno
sciopero generale, neanche passa nella testa.

La mobilitazione e lo sciopero generale subito

L’attacco della Fiat deve essere rigettato attraverso la mobilitazione più ampia possibile di tutte le lavoratrici e i lavoratori, nell’unità con i movimenti sociali scesi in lotta in questi, mesi, con tutti i cittadini che sono consapevoli della gravità di quanto sta avvenendo, che sono in gioco fondamentali diritti del lavoro e insieme ad essi diritti costituzionali e civili essenziali di un paese democratico.
Questi stabilimenti italiani, che non sono più neanche della vecchia Fiat, ma che sono solo reparti di una azienda americana, la Chrysler, sono stati costruiti con il sudore e il lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori, sono stati mantenuti in piedi numerose volte, garantendo i profitti degli azionisti Fiat, attraverso un fiume di denaro pubblico. Solo pochi anni fa, grazie a una ulteriore elargizione di soldi da parte degli Enti locali del Piemonte era stato “garantito” dalla direzione Fiat il mantenimento di Mirafiori.
Questi stabilimenti (da Termini Imerese a Mirafiori, da Melfi a Pomigliano) possono e debbono essere mantenuti. Non possono restare nella mani di un padrone esterno che li concepisce solo come limoni di spremere, l’intervento pubblico si ripone con forza e, di fronte alla crisi del settore e alle scelte produttive di Marchionne, sono necessari progetti importanti di riconversione in funzione della salvaguardia dei posti di lavoro, dei bisogni delle collettività locali, della preservazione dell’ambiente e del territorio.
Per questo serve un grande movimento una grande mobilitazione per sconfiggere il disegno reazionario della Fiat, per unire tutti i lavoratori. Per questo serve chiaramente che tutti, in questi giorni, dicano da che parte stanno: o con i lavoratori o con la Fiat. Coloro che vogliono il bene della classe lavoratrice devono lavorare non solo per una mobilitazione unitaria di tutto il settore auto, ma anche per uno sciopero generale dei metalmeccanici, che, in mancanza di una risposta positiva della Cgil, possa diventare lo sciopero di tutti coloro che non vogliono arrendersi, che vogliono difendere il lavoro e i suoi diritti, di tutte le categorie, e di tutti i movimenti. Tutti devono essere consapevoli che la risposta va data oggi.
Uno sciopero dei metalmeccanici che possa diventare il primo atto di uno sciopero generale e generalizzato in cui si affermi l’unità di classe, capace di bloccare il paese e di mandare casa Berlusconi e di sconfiggere Marchionne, la Confindustria, i sindacati complici e tutti coloro che sostengono le politiche di austerità e di massacro sociale.

Franco Turigliatto - Portavoce nazionale Sinistra Critica

mercoledì 15 dicembre 2010

Torino: dalla parte giusta della barricata


Di seguito il volantino distribuito in questi giorni da Sinistra Critica Torino.

Come a Pomigliano, Marchionne usa il ricatto più brutale per cercare di piegare le lavoratrici e i lavoratori di Mirafiori: “se vuoi avere uno straccio di lavoro devi accettare le mie condizioni: un lavoro da servo senza diritti e garanzie, sfruttato fino all’osso”.
Siamo nel XXI secolo, ma parla e agisce come i padroni dell’ottocento.

Riesce a farlo perché, non solo i padroni, ma la grande maggioranze delle forze politiche la pensa come lui: a pagare la crisi devono essere i lavoratori.
La Marcegaglia si comporta da scolaretta accettando addirittura che la Fiat se ne vada da Confindustria. Il governo di destra, guidato da un padrone che, ancora ieri, con la corruzione e la compravendita è riuscito a restare in piedi, non può che sostenere i prepotenti.
E le opposizioni di centro sinistra cosa fanno? Sostengono più o meno apertamente il progetto di Marchionne!!

E’ una vergogna che le istituzioni, (non stupiscono il Governo e la Regione, di destra, ma anche il Comune di Torino), invece di stare coi lavoratori chiedendo alla Fiat il rispetto della Costituzione, dei diritti del lavoro, dei contratti collettivi, (tanto più dopo i miliardi pubblici che le sono stati dati), invitino i lavoratori a rassegnarsi adeguandosi a uno sfruttamento sempre più duro da schiavi-robot.
Dicono che il destino di Mirafiori e della città è nelle mani dei lavoratori. No! E’ nelle mani di coloro che sono stati eletti per fare gli interessi dei cittadini e che invece diventano servi sciocchi di una Fiat sempre meno italiana e sempre più americana.

Il modello infernale di Marchionne, se passa alla Fiat, ben presto sarà esteso a tutte le fabbriche a partire dall’indotto. Questa vertenza riguarda tutta la classe lavoratrice. Bisogna fermare i padroni prima che sia troppo tardi.E’ necessaria una mobilitazione non solo del gruppo Fiat, ma di tutta la categoria perché è una vicenda che riguarda tutti.

Una unità indispensabile anche al di sopra delle frontiere. I militanti sindacali della Fiat Poland venuti a Mirafiori lo scorso lunedì hanno spiegato che la Fiat agisce ovunque allo stesso modo cercando di contrapporre gli operai di una fabbrica a quelli dell’altra.

Sinistra Critica solidarizza e sostiene la battaglia di resistenza dei lavoratori.
Costruiamo un fronte che unisca le battaglie per il lavoro, con quelle per la difesa della scuola pubblica, dei diritti dei lavoratori migranti, dei beni comuni saccheggiati per i profitti di pochi.

E’ questa la strada per riuscire a cacciare Berlusconi, impedendo che lui o altri continuino a fare la stessa politica economica e sociale antipopolare.

Sinistra Critica lavora perchè in città cresca la consapevolezza che il futuro di Torino non è nella prepotenza di Marchionne, ma nell’unità delle lavoratrici e dei lavoratori.
E i partiti devono dire chiaramente da che parte stanno: con il superman cattivo o con lavoratori.

Sinistra Critica Sede di Mirafiori via Podgora 16

Le ragioni di una sconfitta (e una riflessione)


Quattro motivi che hanno portato alla vittoria di Berlusconi alla Camera e il ruolo dei movimenti



Salvatore Cannavò
Berlusconi ce l’ha fatta ancora una volta. Fini ha perso e con lui hanno perso Udc e Pd ma anche l’Idv uscita ammaccata da questa vicenda nella sua capacità di selezionare i gruppi parlamentari. Certamente, Berlusconi non avrà vita facile, per lui oggi inizia il cammino che il governo Prodi dovette sperimentare subito dopo le elezioni del 2006. I capigruppo di maggioranza dovranno fare la guardia ai deputati, precettarli a ogni voto e via discorrendo. E se Berlusconi non potrà durare a lungo in questa situazione, sta già tentando di allargare la maggioranza all’Udc o a quei pezzi di Futuro e Libertà che non hanno digerito il voto di sfiducia e di cui il comportamento del deputato dissenziente, Moffa, costituisce l’espressione più evidente. Le carte in mano ce l’ha, ha il governo, cariche da distribuire, forse anche accenni alla sua successione. Si vedrà cosa succederà, avremo tempo per capire.
Quello che oggi è necessario è invece cercare di riflettere sulle cause di questa sconfitta. Che a nostro giudizio sono almeno quattro. Così come occorre riflettere sull’esito di una giornata di mobilitazione che descrive una nuova fase con forme di ribellione inaspettate.

La prima ragione è la più indecente. Berlusconi, sia quando era all’opposizione di Prodi che, tanto più al governo, ha una formidabile capacità di “convincere” deputati dello schieramento opposto a passare con lui. Non è solo questione di disponibilità finanziarie, che esistono in grandi quantità, ma anche frutto della determinazione e della spregiudicatezza a “comprarsi” il consenso, qualità che nel centrosinistra sono molto più scarse. La scena cui abbiamo assistito nelle ultime battute della votazione alla Camera, con tre deputate incinta che si sono sobbarcate l’onere della presenza, addirittura in carrozzina, mentre altre due loro colleghe all’ultimo minuto decidevano di salvare il governo, si commenta da sola. Questa spiegazione è importante ma da sola non basta.

Se Berlusconi ha avuto la possibilità e il tempo di allestire il “calciomercato” è anche grazie alla smisurata concessione che gli è stata fatta dal presidente della Repubblica che, un mese fa, ha fissato a oggi, 14 dicembre, la data del dibattito parlamentare. Un mese di tempo che è stato ampiamente utilizzato dal premier, uscito tramortito dalla convention di Fli a Bastia Umbria, il 6 novembre, il cui effetto, però, si è disperso strada facendo. Ancora una volta Berlusconi deve ringraziare Napolitano.

Terza ragione, la natura di Futuro e Libertà. La propensione di una sua ampia parte a non rompere con il centrodestra e con lo stesso Berlusconi alla fine è venuta allo scoperto rivelandosi decisiva. I toni accesi dei Granata, Bocchino e Briguglio non solo non rappresentavano tutta Fli, ma alla fine hanno sospinto l’ala più moderata nelle braccia di Berlusconi. Mettendo in evidenza una contraddizione lacerante: se Futuro e Libertà vuole davvero costruire un altro polo e rompere con Pdl e Lega, si spaccherà ancora. Se vuole restare unita deve rientrare nel centrodestra ma sottomettendosi a Berlusconi il quale però, ormai, punta al suo dissolvimento. Fini si scopre più debole di quanto immaginava e solo il rapporto stretto con Casini può dargli una prospettiva. Casini si dice disponibile ma la strada dell’inferno, si sa, è lastricata di buone intenzioni.

Quarta ragione, la subordinazione del Pd a Fini e a Casini non ha pagato. Bersani ha davvero creduto alla possibilità di formare un governo “di transizione” con Udc e Fli e oggi questa eventualità viene spazzata via dal voto. E il Pd si trova con un pugno di mosche. Le uniche alternative alla tenuta dell’attuale governo sono infatti due: nuovo centrodestra, allargato a Udc oppure elezioni anticipate con la formazione di un terzo polo. La prima soluzione lascia il Pd in un angolo senza grandi sbocchi, la seconda lo costringe a provare l’alleanza di centro-sinistra che però non è amata da tutti.
Questa difficoltà deriva dal fatto che il Pd è rimasto confinato dentro una manovra di palazzo che non lo ha mai visto protagonista. Anzi, con la “responsabilità” dimostrata nell’approvazione della Legge di Stabilità (la finanziaria), il partito di Bersani ha aiutato il governo a prendere tempo. E si è distaccato del tutto da qualsiasi dinamica sociale. La distanza tra quanto avvenuto nel palazzo e le manifestazioni di piazza, al netto degli incidenti, è siderale. Ovviamente, è difficile pensare che il Pd possa rimettersi in sintonia con la dinamica sociale – la sua sostanziale assenza alla manifestazione della Fiom del 16 ottobre lo dimostra – ma in una dialettica classica, un partito di opposizione, che si dice orientato a sinistra, se recide i rapporti con la società si condanna al mutismo. Ora si tratta di trovare una quadra con Vendola e Di Pietro, ma quest’ultimo è ancora più debole, mentre nel Partito Democratico non cessa l’idea di trovare una sintonia con Fini e Casini.

La giornata lascia anche un’altra lezione. In piazza non è andata in onda solo la protesta dei soliti infiltrati: la rabbia esplosa nelle manifestazioni è sintomo di qualcosa di più profondo, Londra sta lì a dimostrarlo. E l’incidenza della compravendita e della corruzione cui abbiamo assistito a Montecitorio non va trascurata. Per quanto noi preferiamo manifestare a mani nude, non possiamo non vedere cosa accade nella realtà e soprattutto non possiamo non capire che una dinamica sociale o trova uno sbocco politico adeguato o altrimenti si sfarina in una protesta cieca. Se si vuole davvero cacciare Berlusconi bisognerà porsi seriamente questo problema.

A fianco degli studenti, no a criminalizzazioni Come a Londra, esplode una rabbia sociale. Serve una risposta politica


Comunicato di Sinistra Critica sulla manifestazione del 14 dicembre

La manifestazione odierna è stata imponente e piena di giovani, una generazione nuova che ha ormai capito che la crisi capitalistica in atto, non le consente di avere un futuro. Questa incertezza sulle proprie vite, le scene di compravendita e di corruzione andate in scena nel "palazzo" e che hanno permesso al governo di farla franca, l'idea fallimentare della "zona rossa" spiegano una dinamica di rabbia sociale che non è ascrivibile solo a gruppi organizzati. Per questo diciamo no ai tentativi di criminalizzare la protesta, gli studenti e la loro voglia di ribellarsi. Noi siamo con questa generazione, al di là di incidenti che possono essere evitati solo dalla fine delle zone rosse e da una politica più decente di questa.
In tutta Europa si sta diffondendo una dinamica di ribellione che mette in evidenza una crisi di sistema e che chiede anche una risposta politica oggi non presente nel panorama italiano e europeo.
Per questo saremo impegnati nelle mobilitazioni, a mani nude, e nella costruzione di una proposta anticapitalista per una nuova politica e una nuova forma di partecipazione.
Sinistra Critica

lunedì 6 dicembre 2010

Fiat, una giornata di solidarietà internazionale


Si è svolto il 5 dicembre 2010 il seminario che ha messo a confronto i delegati e i militanti sindacali della Fiat e dell’indotto di Torino con due militanti del sindacato Agosto 80 della Fiat Tychy polacca.


Diego Giachetti
Come suonano ancora bene le parole di Bertolt Brecht quando scriveva che «la semplicità è difficile a farsi», riferite al seminario, organizzato per impulso di Sinistra Critica, che si è tenuto a Torino il 5 dicembre 2010. Per la prima volta si è realizzato un confronto diretto, personale, tra presidente, Franciszek Gierot, e il vice presidente, Kruzysztof Mordasiewicz, del sindacato polacco Agosto 80 della Fiat Auto Poland di Tychy, con esponenti del sindacalismo torinese della Fiat Auto della Fiom, dei Cobas, dei Cub e dell’Usb.
Sembra paradossale, come ha rilevato nel suo intervento un quadro storico del sindacalismo torinese, Alberto Tridente, che oggi, coi mezzi di comunicazione che ci sono, incontri di tal genere siano rarità rarissime, soprattutto perché non ricercate e non praticate. Egli ha ricordato come, in altri tempi e con ben altre difficoltà logistiche e politiche, il sindacato torinese dei metalmeccanici seppe trovare e mantenere contatti vivi con lavoratori e sindacalisti di paesi dove la Fiat o altre industrie operavano: dalla Spagna all’Argentina al Brasile. Oggi questo è meno scontato, nonostante, almeno per quanto riguarda l’Europa, sia possibile spostarsi celermente da un paese all’altro, senza più visti e frontiere, e i “luoghi” sono facilmente raggiungibili in due ore o poco più d’aereo.

Eppure, come è stato più volte rammentato, quello che si è svolto a Torino è stato il primo incontro di questo genere. Ce n’era bisogno, e il dibattito lo ha espresso, mettendo in luce la necessità, finalmente in parte esaudita, di conoscersi a partire da informazioni minime da condividere, per capirsi. Un lavoro di ricostruzione di un tessuto connettivo, di un confronto tra realtà, condizioni lavorative e sindacali diverse per storia, modalità, tradizioni, reso necessario e impellente, non da una sorta di “turismo sindacale” ma dall’operato della multinazionale Fiat e dall’impulso che alla sua strategia è stato dato dalla recente direzione dell’amministratore Marchionne. Di fronte a questa strategia che opera a livello internazionale, si registra la carenza e il ritardo di un’analoga risposta che chiami alla solidarietà i lavoratori del gruppo Fiat al di là e oltre i confini nazionali, insomma quello che nell’Ottocento e nel Novecento si chiamava internazionalismo.

Una solidarietà o internazionalismo che per costituirsi deve andare oltre la proclamazione della sua necessità, per cominciare davvero a costituirsi. E la strada concreta da percorrere non può essere che quella del confronto fra operai e sindacalisti in carne ed ossa. Quando questo avviene e si va oltre l’articolo o il saggio teorico, si scopre, dalla viva voce dei protagonisti, quella che è la condizione operaia nei singoli stabilimenti del gruppo: i contratti che la regolano, il livello medio del salario, le ore di lavoro giornaliere, le malattie professionali, la quotidianità della vita familiare operaia (affitti, spesa, tempo libero, lavori domestici, maternità), l’impianto legislativo statale, il ruolo dei sindacati e l’azione dei gruppi dirigenti aziendali degli stabilimenti.
Il pubblico italiano ha così potuto apprendere dalla viva voce dei due rappresentati sindacali, l’origine del loro sindacato (1992), le ragioni della loro separazione dal preesistente sindacato Solidarnosc, il loro radicamento nello stabilimento automobilistico, svenduto al gruppo Fiat per pochi euro nel 1992, che conta oggi 1.440 iscritti su 6.400 dipendenti, 1.200 dei quali a contratto determinato, rinnovabile ogni mese e senza limiti di tempo. Agosto 80 è il sindacato più rappresentativo nella fabbrica polacca.
I sindacalisti presenti hanno ricordato le lotte condotte nel corso degli anni: memorabile quella che portò all’occupazione della fabbrica per 56 giorni, le repressioni subite da parte dell’azienda, le conquiste effettuate in termini di aumento salariale e di welfare, l’assenza per in pianto legislativo di un contratta unico nazionale, a differenza dell’Italia, che impone una contrattazione unicamente aziendale, per cui miglioramenti o peggioramenti delle condizioni di lavoro, dipendono unicamente dalla forza e dalla capacità di lotta degli operai dei singoli stabilimenti. Le nuove e pressanti richieste che vengono da gruppo Fiat per un aumento e un’intensificazione dei ritmi di lavoro, attraverso la revisione della settimana lavorativa, l’aumento delle ore di straordinario, in un regime per cui, dato anche l’impianto legislativo vigente, è quasi impossibile opporvisi.
Nel dibattito è emerso inoltre quanto spesso le comparazioni in termini di produttività, sbandierate dal gruppo Fiat per indicare, a secondo del paese al quale parlano, chi lavora di meno, siano spesso fondate su elementi statisticamente vacillanti, poco credibili nel loro presunto impianto scientifico. Propaganda ammantata di ufficialità, insomma.
Kruzysztof Mordasiewicz ha detto, dati alla mano, che il costo del lavoro nel bilancio della Fiat polacca incide per l’1,7% sul costo di produzione. E che è su questo dato che vuole insistere l’azienda riducendolo con l’aumento della flessibilità e l’intensificazione del lavoro. Sa a noi italiani dicono che in Polonia lavorano di più e producono di più, agli operai polacchi dicono invece che i turchi lavorano ancora più di loro, dimostrando così che le condizioni che l’azienda vuole porre sono apparentemente ragionevoli. Così, ha proseguito, si crea divisione e si semina zizzania tra i lavoratori non solo dei diversi paesi, ma nel paese stesso.
Una frammentazione che è anche conseguenza del fatto che dei sette sindacati presenti nell’azienda automobilistica, almeno cinque, sono disposti a seguire in tutto e per tutto l’azienda nel suo ragionamento. Lo stesso ragionamento, ha detto Franciszek Gierot, fa lo staff dell’impresa Renault: dicono ai lavoratori francesi, gli slovacchi sono migliori di voi, se lo fanno loro dovete farlo anche voi. Ecco perché lo scontro che il gruppo Fiat ha aperto rappresenta forse l’ultima occasione per organizzare una risposta collettiva, unitaria degli operai degli stabilimenti europei. La sua preoccupazione e il suo intento sono stati ripresi in vari altri interventi e, qualcuno, ha sottolineato l’opportunità di costruire subito un coordinamento a partire dalla Federazione Europea dei Metalmeccanici, spingendo perché in Italia la Fiom e i sindacati di base operino in tal senso, altrimenti c’è il rischio che fra un po’ ci si ritrovi a spiegare le ragioni di una nuova nostra sconfitta.

Numerosi anche gli interventi di lavoratori e sindacalisti italiani, dai quali i polacchi hanno potuto approfondire e conoscere la nostra situazione. Anche da noi, si è sottolineato, abbiamo un problema duplice. Siamo in difficoltà e in ritardo non solo per quanto riguarda la costruzione di legami duraturi e operativi con realtà lavorative di altri paesi, ma anche per quanto riguarda l’unità stessa dei lavoratori italiani, divisi, come il caso Pomigliano ha dimostrato, a causa del cedimento di alcune organizzazioni sindacali o, isolati politicamente, come nel caso recente della trattativa torinese per lo stabilimenti di Mirafiori, dove praticamente, tutto il mondo politico rappresentato nelle istituzioni, tende a far pressione perché si accettino tutte le condizioni capestro che Marchionne pone. Certo, da noi, per ora esiste ancora un contratto nazionale, strumento attraverso il quale si è costruita l’unità dei lavoratori, e uno Statuto dei lavoratori, conquiste però sempre più ridimensionate da recenti e meno recenti provvedimenti legislativi tesi a frammentare, separare, dividere i lavoratori in tante figure contrattuali diverse.

Un mondo di profittatori e di profitti sembra rovesciarsi addosso ai lavoratori, senza possibilità di contrastarlo? Non è proprio così. I due sindacalisti polacchi hanno raccontato delle preoccupazioni dello staff dirigenziale dell’azienda quando hanno saputo che partivano per l’Italia per incontrare lavoratori e sindacalisti del gruppo Fiat. Una preoccupazione forse esagerata? Certo un timore tutto loro che è di buon auspicio per quanti volessero costruire un coordinamento tra lavoratori italiani della Fiat e lavoratori polacchi, nella speranza che questo sia solo un primo passo e un esempio da seguire per tutti. Ecco perché l’incontro si è concluso con un comunicato congiunto nel quale ci si impegna reciprocamente: -a proseguire lo scambio di informazioni, a costruire un comitato di coordinamento e sensibilizzare sul tema nell’ambito delle proprie organizzazioni sindacali; - a porre il tema del lavoro e delle sue modalità (orari, salari, ritmi, riposi, turni, diritti) al centro delle politiche sindacali in Europa; -a costruire una prossima scadenza europea che metta a confronto lavoratori e sindacalisti delle industrie automobilistiche.

giovedì 2 dicembre 2010

PER LA GIUSTIZIA SOCIALE E AMBIENTALE


per l'acqua pubblica e i beni comuni

Dal 26 novembre al 10 dicembre ha luogo a Cancun la 16ª Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. In queste due settimane si tengono in tutto il mondo manifestazioni per la giustizia climatica. Il Messico è attraversato da diverse carovane che convergono sulla capitale il 1° dicembre per raggiungere poi Cancun il 4 dicembre unendosi alla carovana che ha percorso l'America del Sud con tappe in Bolivia, Ecuador e Venezuela. Dal Nord America la Coalizione "Giustizia Climatica USA" nata nello scorso giugno a Detroit partecipa con una folta delegazione. Massiccia è anche la presenza italiana, mentre i movimenti per l'acqua tornano in piazza in tutte le regioni italiane dando vita a nodi pulsanti di una rete che, da nord a sud, intende difendere un bene primario come l'acqua e impedire che una cinica e neoliberista visione della realtà si imponga nella sua gestione.

Noi proponiamo un'alternativa possibile: la creazione di enti di diritto pubblico che garantiscano la collettività dalle speculazioni delle multinazionali e dei poteri forti di casa nostra graditi sia alla destra sia a una certa sinistra, e rilanciamo anche la prospettiva di un nuovo pubblico non statalista che faccia della partecipazione dei cittadini e dei lavoratori le gambe su cui muoversi.



4 dicembre: TORINO Manifestazione regionale - http://www.acquapubblicatorino.org/dwd/ref/locandina_piemonte.pdf

ore 14 ritrovo alla Fontana Angelica in PIAZZA SOLFERINO dove

confluirà il corteo degli Studenti partito da Piazza Arbarello

ore 15 corteo fino a PIAZZA CASTELLO e MANIFESTAZIONE



Ci collegheremo in diretta con i nostri "emissari" a Cancun e con la coraggiosa mamma di Adro che si oppone alla trasformazione della scuola pubblica in scuola padana. Gli interventi dei Comitati Piemontesi per il referendum si alterneranno con quelli di musicisti, scrittori e artisti per l'acqua pubblica tra i quali Beppe Grillo e concluderà il prof. Ugo Mattei, per dire insieme



STOP alle privatizzazioni fino al Referendum

Moratoria subito: nessuna gara d'appalto per i servizi idrici

NON sopprimere le Autorità d'Ambito territoriali

fino a quando gli italiani/e non si saranno espressi nel referendum richiesto con oltre 1.400.000 firme

Diritto di voto al Referendum entro, e non oltre, il 2011

Perché si scrive acqua ma si legge democrazia

FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L'ACQUA

Referendum per l'Acqua Pubblica - Coordinamento piemontese
Presso ARCI - via Cernaia 14 - 10122 Torino - www.acquapubblicatorino.org - tel. 388 8597492