domenica 15 gennaio 2012

I nostri disaccordi con Landini e Camusso


Dalla gestione del caso Fiat all'atteggiamento, troppo morbido, nei confronti del governo, si acuiscono le contraddizioni dentro la vecchia sinistra Cgil


Giorgio Cremaschi
In tre giorni si sono svolte le riunioni del Comitato centrale della Fiom e del Direttivo della Cgil, che hanno visto una sostanziale convergenza di posizioni tra la Segretaria generale della Cgil e il Segretario generale della Fiom. Con questa convergenza di posizioni abbiamo nettamente dissentito.
Vediamo allora quali sono i punti principali del nostro disaccordo.

1. Il giudizio e i comportamenti rispetto al governo Monti. Sia Landini sia Camusso non nascondono giudizi critici verso il governo, ma non intendono farli diventare un giudizio complessivo da utilizzare nella pratica sindacale delle organizzazioni. Nella sostanza si continua a giudicare il governo per i suoi singoli provvedimenti, e non per la linea liberista e distruttiva dei diritti sociali che lo ispira. Si continua a considerare questo governo come altri governi di unità nazionale, verso i quali essere criticamente interlocutori, e non si vuole invece affermare che questo governo è espressione di un drammatico disegno di restaurazione sociale guidato dai poteri economici e finanziari europei e mondiali. Nella sostanza si rinuncia a un ruolo di opposizione sociale a questo governo e si assume un orientamento contrattuale ed emendativo nei confronti delle sue scelte. (...)

Su questo punto abbiamo espresso il nostro disaccordo sia in Fiom che in Cgil, proprio perché a nostro parere ciò di cui c’è l’esigenza oggi è di trasformare l’enorme malessere sociale, la rabbia verso i singoli provvedimenti del governo, in un’opposizione e un alternativa ad esso. Pena la marginalizzazione totale del movimento sindacale e la frantumazione del conflitto. Per queste ragioni abbiamo chiesto, in Cgil assieme alla minoranza congressuale, una posizione radicalmente diversa da quella adottata dalla confederazione nella trattativa con il governo. Non si può saltare la drammatica sconfitta sulle pensioni e bisogna riaprire la partita ora al tavolo del governo, così come bisogna considerare pregiudiziale la questione dell’articolo 18, che può solo essere esteso. Senza queste precondizioni si deve andare alla rottura e non alla trattativa con il governo.

2. L’accordo del 28 giugno. Pur mantenendo diversità di giudizio sul passato, Landini e Camusso sostengono oggi che bisogna utilizzare l’accordo del 28 giugno per fermare l’aggressione della Fiat al contratto nazionale e ai diritti dei lavoratori e dei sindacati, e per difendere la contrattazione nazionale. Non siamo d’accordo su questo, in quanto il 28 giugno non ha chiuso ma ha aperto la via alla devastazione delle deroghe e anche a una nuova stagione di accordi separati. Esso non è stato un freno alle politiche Fiat per la semplice ragione che gli stessi firmatari di quell’intesa hanno poi sottoscritto l’accordo con Fiat che usciva dalla Confindustria. Nella sostanza quell’accordo non è uno strumento utilizzabile per fermare l’attacco, mentre viene tranquillamente utilizzato dalle controparti per ottenere deroghe ai contratti nazionali senza nessuna affermazione reale di pratica democratica con i lavoratori. Come dimostrano gli accordi recentemente siglati nelle cooperative sociali e con la Lega delle Cooperative. La derogabilità ai contratti è la via che ha aperto la strada a Marchionne. Non può essere l’obiettivo del minor danno quello che ancora una volta ci guida, vista la drammaticità dell’attacco ai lavoratori.

3. Il giudizio sulla Fiat. Il Direttivo Cgil non ha affrontato, anzi ha sostanzialmente respinto, la questione della portata della vicenda Fiat. Nessuno naturalmente nega la gravità di quanto è avvenuto, ma resta una minimizzazione della vicenda rispetto a tutto il mondo del lavoro. Nella sostanza si continua a sostenere che Marchionne è un estremista e il resto del padronato va in un’altra direzione. Invece continuiamo a ritenere che il problema Fiat sia un problema di tutto il movimento sindacale e di tutta la Cgil, non per ragioni di solidarietà, ma perché quello partito a Pomigliano con l’attacco ai diritti dei lavoratori è un contagio che non può essere fermato senza sconfiggere l’opera di chi l’ha lanciato e continua a lanciarlo. Nella sostanza occorre far diventare la vertenza Fiat una vertenza confederale, di lotta di tutti i lavoratori italiani, costruendo le mobilitazioni, le iniziative, le solidarietà, i boicottaggi necessari a far sì che la Fiat sia sconfitta. Se questa scelta così netta non viene presa, e non è stata presa, l’accordo Fiat si consolida e con esso il contagio in tutto il mondo del lavoro.

4. Unità sindacale e democrazia. Nelle conclusioni al Direttivo della Cgil, Susanna Camusso ha sottolineato la necessità dell’unità sindacale, sia a livello confederale, sia nei metalmeccanici, per poter reggere la fase. Non siamo d’accordo e non perché non riteniamo necessaria l’unità sindacale, ma perché l’unità che si vuole realizzare qui ed ora è su un piano e con sindacati in continuità con le politiche del recente passato. Non basta dire di no assieme all’articolo 18, per reggere la portata di un attacco che, nella sostanza, vede Marchionne e Monti sullo stesso fronte, anche se ovviamente con accentuazioni e ruoli diversi. L’unità confederale che si vuole costruire, così come la richiesta alla Fiom di arrivare rapidamente a una piattaforma unitaria con Fim e Uilm per il rinnovo del contratto, o è un’ipotesi irrealizzabile o, se la si persegue a breve, comporta inevitabilmente compromessi rilevanti e per noi inaccettabili proprio sui contenuti di fondo che hanno visto la Fiom e la Cgil lottare in questi anni. Anche sul piano della chiarezza e del rapporto con i lavoratori un puro ritorno all’unità con Cisl e Uil per reggere, rischia di essere controproducente. Basta vedere i risultati delle mobilitazioni. Il 6 settembre, lo sciopero Cgil è stato fatto anche da tanti iscritti Cisl e Uil, mentre lo sciopero unitario del 12 dicembre non è stato fatto anche da tanti iscritti alla Cgil. Non è con il ritorno a una linea moderata, unitaria e concertativa, che si supera l’attacco che abbiamo di fronte. Questo è ancora più vero sul terreno della democrazia sindacale, sul quale non c’è alcun passo avanti e – anzi – si registra il totale fallimento dei buoni propositi dell’accordo del 28 giugno. I lavoratori continuano a non votare e si riduce la libertà di scelta dei sindacati. Per questo la risposta alla Fiat non può essere la modifica dell’articolo 19 per tornare al puro concetto della rappresentatività confederale. Occorre invece una legge sulla democrazia sindacale che garantisca la libertà di scelta per tutti i lavoratori rispetto alla rappresentanza sindacale.

5. Il referendum in Fiat. Per quanto riguarda la gestione della vertenza Fiat, abbiamo riconfermato il nostro disaccordo con la scelta di fare propria la richiesta del referendum, assolutamente legittima come richiesto dai lavoratori, da parte di Fiom e Cgil. E’ evidente, infatti che, come ha detto Susanna Camusso nelle conclusioni, se un’organizzazione fa proprio un referendum deve inevitabilmente accettarne i risultati. Mentre, per quanto ci riguarda la decisione di non firmare in ogni caso gli accordi Fiat non è modificabile in nessun modo. Considerato che il referendum molto probabilmente verrà rifiutato, questa scelta rischia di non portare da nessuna parte e di indebolire la nettezza del nostro no all’accordo.

Quanto è avvenuto in questi tre giorni di discussione ha chiaramente segnato cambiamenti nel confronto politico nella Cgil e nella Fiom. Riteniamo che sia necessario affrontarli serenamente, ma con rigore. In particolare è evidente che la dialettica congressuale è stata chiaramente messa in discussione e che nella stessa area “La Cgil che vogliamo”, da lungo tempo in evidente crisi, ci sono scelte non più rinviabili da compiere.
Per tutte queste ragioni, fermo restando il nostro impegno militante a sostegno dei lavoratori Fiat e del rientro della Fiom in fabbrica e di tutte le mobilitazioni in atto, riteniamo necessario che si apra una discussione di fondo su come fronteggiare il più grave attacco ai diritti e alle libertà dei lavoratori dal ’45 ad oggi.
Per questo nei prossimi giorni produrremo un documento da confrontare con altre prese di posizione che sono state annunciate.

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