venerdì 4 gennaio 2013

Ginsborg, Ingroia e il fuoco della sinistra

Salvatore Cannavò


I commenti contro i "professori" che non gradiscono la lista del magistrato mettono in mostra una cultura politica partitista e frontista che ricorda gli anni 50.

Nella vicenda della lista Ingroia e del dibattito che ha attraversato l'appello di "Cambiare si può" finora ci si è concentrati sulle posizioni dei promotori di quel testo, in prevalenza fondatori di Alba (Revelli, Ginsborg, Pepino, Gallino, Sasso e altri) e sulla loro delusione. I "professori" citati si sono esposti pubblicando in rete le loro opinioni a proposito delle trattative elettorali con Antonio Ingroia, titolare di una lista composta in prevalenza da partiti: Idv, Pdci, Prc, Verdi. Un odore di Arcobaleno che non promette nulla di nuovo e che ha, paradossalmente, provocato anche la delusione di Fausto Bertinotti, inizialmente aperturista nei confronti del magistrato palermitano.
L'ultimo, in ordine di tempo, è Paul Ginsborg, il cui commento è stato pubblicato dal profilo Facebook di Cambiare si può il 3 gennaio. La presa di distanza dalla lista di Ingroia è evidente così come, forse, la sorpresa o la delusione per essere stati smentiti dalla consultazione telematica condotta da Cambiare si può che ha premiato con oltre il 60% il Sì all'ipotesi di lista.
La vicenda è piuttosto anomala perché come non succede frequentemente, i promotori sono stati bocciati dal voto ma hanno rappresentato finora la direzione di quel processo che ora si trova senza rappresentanti riconosciuti e riconoscibili. Marco Revelli, Livio Pepino e Chiara Sasso che dall'assemblea del 22 dicembre erano stati indicati come il "gruppo di trattativa" con Ingroia, avendo espresso le proprie riserve rispetto all'accordo elettorale e riconoscendo legittimità al voto telematico che li ha visti battuti, si sono fatti da parte. Ora, Paul Ginsborg dice apertamente che tornerà alla occupazione prevalente di Alba, il soggetto che era stato pensato anche per la prova elettorale ma che ora, presumibilmente, si dedicherà soprattutto a un lavoro di campagne politiche. Va anche sottolineato che lo stesso Ginsborg annuncia il suo voto a favore della lista Rivoluzione civile di Ingroia anche se non ne approva le modalità di formazione.
Il tenore degli interventi dei professori è sembrato, nella sostanza, rispettoso anche se deluso. Quello che colpisce è la violenza dei commenti cui sono stati fatti oggetto, accusati di non voler rispettare il voto della maggioranza, di protagonismo, di voler solo "spaccare il capello in quattro", di dividere, e così via.
Loro stessi se ne sono meravigliati e hanno cercato di rispondere alle critiche venendo sommersi da altri insulti.
Il commento di Paul Ginsborg, citato sopra, si trascina dietro commenti di questo tipo: "Questa è gente con il portafoglio pieno" oppure "Ginsborg trovati un lavoro vero, di vate ce ne sono fin troppi". Sostenere che uno degli intellettuali più brillanti della cultura politica italiana, al di là delle divergenze che si possono avere con il pensiero di Ginsborg, debba trovarsi "un lavoro vero" fa pensare alla diffidenza di Pol Pot per quelli che avevano gli occhiali o, senza spingersi così in là con il dileggio, a una certa concezione mao-staliniana sul rapporto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. E, del resto, nei commenti quello che prevale è proprio una concezione vetusta e sconfitta del pensiero della sinistra, residuo di frontismo e di partitismo che non fa fatica a trovarsi a proprio agio nel metodo, nei contenuti e nel profilo politico che la lista Ingroia sta assumendo. Il regista occulto dell'operazione, del resto, sembra essere proprio uno dei dirigenti comunisti più classici e tradizionali, Oliviero Diliberto.
Così stupisce meno che per criticare, dileggiandolo, Ginsborg si citino i fatti di Ungheria: "Sono stufa degli intellettuali autoreferenziali che, se le cose non vanno come dicono loro, abbandonano la baracca e giocano a fare i guastatori, per il solo gusto di dire, se le cose vanno male davvero: "avevamo ragione noi, avete visto?" E' dal 1956 che questi esteti di se stessi rappresentano un cancro per la Sinistra". Che nel 2012 ci sia qualcuno che frequentando Facebook abbia nostalgia per l'Unità del 1956 che sparava a palle incatenate contro i dissidenti del Pci la dice lunga sulla resistenza di una cultura antica che in questa vicenda sembra rivenire a galla come l'ultimo residuo significativo della presenza comunista in Italia. Frontismo e partitismo, dicevamo. Citiamo ancora un commento: "Ma pensa se durante la Resistenza si forse detto:di no i socialisti perché Mussolini era socialista e no i cattolici che sostennero il suo primo governo e no i monarchici che sostengono il re e no i comunisti perché sono stalinisti .... Ma chi la faceva?". L'idea che la lista Ingroia assomigli al processo della Resistenza è un elemento ricorrente e costituisce il filo conduttore della discussione. La lista, fondamentalmente, è l'ultima occasione della sinistra per ritornare in Parlamento. Se questo non accadesse l'eventualità sarebbe così disastrosa da venire associata al fascismo o al ventennio berlusconiano. Per questo l'ossessione dell'unità scandisce ogni commento e viene brandita contro ogni obiezione e critica. BIsogna stare uniti, tutti insieme, superare la soglia del 4%, non importa come, non importa con chi, non importa altro. In questo modo, è ovvio, Antonio Ingroia riceve una delega illimitata e potrà fare e dire quello che vuole arrivando al paradosso di scrivere lettere a Beppe Grillo che, invece, rappresenta la bestia nera degli stessi che insultano Ginsborg e lodano il magistrato. A spiegare questo comportamento è ancora un lettore del professore italo-inglese: "Con la casa che và a fuoco una persona di buon senso non chiederà mai a chi è disposto ad aiutarlo nello spegnimento da che parte viene in quanto l'obbiettivo è comune". Ingroia è chiamato a spegnere il fuoco di una sinistra che rischia la scomparsa. Ma la cultura che emerge da questi richiami e da questi commenti indica che il fuoco ha già fatto molti, troppi danni. Irreversibili.



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