venerdì 15 marzo 2013

Governo? Avete detto governo?

di Franco Turigliatto

Il risultato del voto ha scompaginato i disegni della borghesia di un esecutivo stabile e continuista intorno alla rinnovata alleanza tra Monti e PD, tanto che il presidente Napolitano, da sempre custode della governabilità del capitalismo italiano, per una specie di legge del contrappasso, si trova oggi a gestire una situazione istituzionale fuori dal comune e del tutto ingovernabile.

Le vicende giudiziarie di Berlusconi hanno complicato ulteriormente le dinamiche politiche istituzionali per cui il Presidente della Repubblica, andando ancora una volta fuori dalle sue prerogative, è intervenuto a sostegno del vacillante Berlusconi, come già tante altre volte hanno fatto gli uomini del PD.

Abbiamo sempre pensato che questo triste personaggio andasse battuto e per sempre dalla mobilitazione sociale e non nelle aule giudiziarie, ma il nuovo aiuto fornitogli è preoccupante e potrebbe essere foriero di nuove future disgrazie civili e democratiche.

Sarebbe sbagliato pensare che in questo momento la borghesia sia in un’impasse insuperabile: la classe dominante mantiene nelle sue mani tutti gli strumenti economici essenziali e ha il pieno controllo degli apparati dello stato con cui gestisce il proprio sistema e nelle strade e sui luoghi di lavoro non ci sono masse arrabbiate e mobilitate che ne paralizzino l’attività. Ha un po’ di tempo per approntare un progetto politico e superare l’impasse parlamentare, a partire da nuove elezioni e da nuove ipotesi tra cui anche quella basata sul binomio Monti- Renzi.

Inoltre molte delle funzioni di direzione del capitalismo sono realizzate direttamente a livello europeo, a partire dalla questione centrale della moneta che è appannaggio non della Banca d’Italia, ma della stessa BCE e delle scelte liberiste di fondo che sono disegnate nel fiscal compact. Certo sarebbe meglio per i padroni avere sùbito un governo funzionale per gestire socialmente queste scelte e per agire nei conflitti interborghesi dell’Unione europea salvaguardando adeguatamente gli interessi specifici della borghesia italiana, ma certe volte bisogna saper aspettare i tempi giusti.

C’è qualcun altro che avrebbe bisogno e subito di un governo amico, di disporre di un’ipotesi concreta di governo alternativo alle politiche liberiste, e chi ne avrebbe bisogno è proprio la classe lavoratrice.

I dati che giornalmente sono forniti dagli istituti di ricerca e di statistica, ma che ogni operaio, ogni lavoratrice, ogni precario o disoccupato sente sulla propria pelle e che si percepiscono nell’intera società sono drammatici; chiedono scelte di governo complessivo della società. Milioni di persone cadute in povertà, un indice della disoccupazione schizzato sopra il 12% (un tasso che una volta era considerato espressione diretta di crisi della democrazia e foriero di rivolte o rivoluzioni), una disoccupazione giovanile senza precedenti (cioè un vero crimine sociale contro le nuove generazioni), centinaia di migliaia di persone e di famiglie che sopravvivono con gli ammortizzatori sociali, che a partire da questo anno saranno ulteriormente ridotti, centinaia di fabbriche che hanno già chiuso e altre che chiudono quest’anno; una crisi verticale del piccolo commercio e della piccola e media borghesia imprenditoriale che la recessione butta fuori mercato: ecco l’elenco della “catastrofe imminente”.

Per affrontare questa crisi e le politiche di austerità che l’alimentano, la classe lavoratrice non può che partire dalle resistenze sociali, dalla mobilitazione, dalla individuazione di obiettivi che difendano salario ed occupazione, unendo i vari fronti di lotta. Ma questo non basta, si richiede uno sbocco politico, avanza la necessità di un governo dell’economia e della società che prenda misure drastiche per fare fronte alla catastrofe sociale in atto e alla disperazione di milioni di persone senza futuro.

Della centralità della prospettiva di governo in questa fase si è discusso a lungo e pertinentemente nell’incontro europeo di Atene della sinistra radicale e anticapitalista (vedi a questo proposito un altro articolo su questo sito); la problematica è di attualità in molti paesi europei, ma solo in Grecia esiste una soluzione potenzialmente immediata di governo delle sinistre e quindi la possibilità concreta di una risposta alternativa alla crisi capitalistica in funzione degli interessi delle classi subalterne.

Negli altri paesi esiste la necessità obbiettiva, ma non i soggetti politici concreti (in un rapporto con i movimenti sociali) che possano rendere credibile e praticabile una prospettiva di governo alternativo.

In Italia il problema è dato all’ennesima potenza non solo perché le forze rimanenti della sinistra sono per la seconda volta fuori dal parlamento (impossibile prendere in considerazione SEL che ha legato le sue fortune al carro di un partito liberista e borghese come il PD), ma perché la sinistra di classe con i suoi errori persistenti è riuscita a ridursi ai minimi termini, proprio quando la crisi e la rabbia sociale di larghi settori di massa ne renderebbero essenziale una forte capacità operativa e progettuale.

Dato che le vicende politiche e sociali non permettono a lungo l’esistenza di un vuoto politico, a trarre il massimo vantaggio da questa situazione è stato il Movimento 5 stelle spinto molto in alto dal voto: gli elementi del successo di Grillo sono ormai noti e qui semplicemente ne richiamiamo qualcuno: l’impatto della crisi e dell’austerità, la precarietà e l’angoscia del futuro di larghi settori della società, il disgusto per la corruzione, l’impunità dell’agire delle forze politiche.

E’ possibile che Grillo non si aspettasse una situazione politica parlamentare così complicata, che non gli permette di continuare a fare la semplice l’opposizione alla casta ma che lo costringe a scelte politiche più definite ed immediate. Pur avendo il vento in poppa la sua formazione ha fragilità e contraddizioni e sarà interessante capire come reagirà a una forte pressione esterna.



Per ora le reazioni di Grillo sono state quelle di un consumato politico, che manovra e “surfa” di fronte alla scarsa credibilità degli interlocutori; gioca per ora una sola carta sul piano politico, la lotta contro la casta e i suoi privilegi, il comun denominatore che gli ha garantito un voto così largo.

Per proporre un livello superiore, e cioè l’azione di governo, dovrebbe avanzare una proposta complessiva di politica economica e sociale, che non può essere solo la somma affastellata di varie rivendicazioni (alcune anche tradizionali di sinistra, come ha fatto in campagna elettorale) ma un programma alternativo e coerente nel suo insieme. Ma, per essere alternativo nella giusta direzione, cioè profondamente antiliberista, dovrebbe partire proprio dal completo rigetto delle politiche che vanno sotto il nome del fiscal compact e dell’infernale meccanismo del debito, ricatto e strumento borghese per schiacciare le classi lavoratrici. La ventilata “uscita dall’euro” non risolverebbe questi nodi strutturali e porrebbe in ogni caso numerosi e complicati problemi.

In altri termini dovrebbe fuoriuscire dall’impostazione interclassista su cui ha costruito le sue fortune.

Le critiche che vengono fatte da esponenti della sinistra al Movimento 5 stelle sono molte volte solo astiose e anche quando colgono nel segno risultano poco credibili, perché non sono credibili i proponenti, che, in tutti questi anni, sono andati dietro al carro del PD, pensando solo ai piccoli affari di bottega, alle piccole nomenklature, ai piccoli posti, ecc.

Ma soprattutto si dimentica che dagli anni ’90 fino al 2007, c’ è stata in campo una formazione politica, punto di riferimento per ampi strati operai e popolari che proponeva un’alternativa politica radicale e il rinnovamento del progetto socialista e comunista. Questa formazione si chiamava Rifondazione ed era riuscita ad entrare in connessione anche con le giovani generazioni e con il movimento contro la globalizzazione capitalista. Un capitale politico e sociale enorme, una speranza per tanti, la primogenitura ad essere il perno dell’alternativa anticapitalista, svenduta a metà del decennio per il classico piatto di lenticchie. Una grande occasione agita per oltre dieci anni e buttata al vento; una vera e propria catastrofe non solo e non tanto per i suoi protagonisti, che se la sono cercata, ma per la classe operaia che avrebbe avuto bisogno di un partito tanto più al sopraggiungere della crisi.

Il successo di Grillo è anche il frutto di quella disfatta. Esiste tuttavia una profonda diversità tra il voto espresso in passato al PRC e quello di oggi per Grillo: diversi sono i livelli e le forme della coscienza politica. Rifondazione non è mai andata nel voto oltre l’8%, un risultato cospicuo, ma delimitato, non solo dal suo radicamento sociale, ma anche dal fatto che era portatrice di un progetto di società (il socialismo) minoritario nella coscienza politica del paese. Probabilmente se il PRC avesse tenuto la barra, avrebbe potuto, al momento della crisi epocale, diventare credibile in più ampi settori sociali, come è avvenuto per Syriza in Grecia, partita, all’inizio da risultati elettorali decisamente inferiori a quelli di Rifondazione, ma che nel contesto drammatico delle lotte sociali è diventata un punto di riferimento e di speranza a livello di massa.

Il Movimento 5 stelle, nel giro di poco tempo, ha fatto un enorme balzo in avanti, con una presenza in alcuni movimenti sociali (in Val Susa sono stati soprattutto gli esponenti di quel movimento a un certo punto a scegliersi questa formazione), ma anche grazie a una fase di grandi sconfitte ed arretramenti del movimento operaio nel suo insieme, quello tradizionale, ma anche quello nuovo, precario dei mille lavori, più o meno informali ma tutti ben inseriti nelle logiche del capitalismo ultraliberista.

Ha potuto farlo proprio perché il suo progetto politico e la visione del mondo che avanza (quello che con un termine immaginifico viene chiamata narrazione) sono molto più indefiniti, interclassisti, proponendo una generica contrapposizione tra la società buona e una casta cattiva, o anche, al massimo, una finanza cattiva, che la imprigionano; basterebbe far saltare il tappo della burocrazia politica perché la società, sotto la spinta del movimento 5 stelle e con il controllo democratico della rete, funzionasse in modo democratico e trasparente.

In altri termini questa visione del mondo corrisponde a una particolare sensibilità politica e a una ripulsa dei mali di questa società che si sono prodotte, in questo quadro di crisi, per la mancanza di alternative di classe e per le scarse esperienze maturate di lotte collettive.

Non c’è giudizio di valore in queste considerazioni, ma solo la consapevolezza dei rapporti di forza tra le classi e l’individuazione dei livelli di coscienza presenti nella nostra società.

Per questo sono relativamente poco interessato a dissertare in astratto su cosa farà Grillo; tanto meno a sperare che il personaggio o il suo movimento siano i salvatori della patria, o credere possibile che, sull’onda combinata delle contraddizioni della crisi e del voto popolare e operaio che ha raccolto, sia spinto a radicalizzare il suo programma e la sua azione politica concreta fino ad essere l’alternativa di governo.
I fatti diranno quale sia il motore più forte che determina la politica del Movimento 5 stelle.
Noi dobbiamo avere un’altra preoccupazione, un altro progetto su cui intervenire e lavorare, un progetto che ha due valenze tra loro congiunte e praticate in sinergia: da una parte lavorare a fondo per favorire in ogni modo le resistenze alle politiche di austerità, l’attivazione e la partecipazione diretta delle nuove e vecchie forze del movimento dei lavoratori (ed è in questo quadro che si misurano anche le convergenze e le contrapposizioni con gli attivisti del M5S); dall’altra non perdere mai di vista la necessità di colmare il terribile vuoto politico che esiste nel nostro paese, la ricostruzione di una sinistra di classe nel nostro paese, la convergenza con tutte e tutti coloro che si renderanno disponibili a costruire una sinistra anticapitalista.

Perché vogliamo essere portatori di una diversa visione del mondo, che giudica questa società in base alle classi e ai rapporti sociali di produzione, che ritiene il capitalismo non riformabile, che vuole riunire tutti gli sfruttati ed oppressi intorno a un nuovo progetto di società democratica e socialista, dobbiamo approntare tutti gli strumenti che ci permettano far maturare una coscienza di classe, di vincere una battaglia di egemonia contro le forze borghesi, di destra e social-liberiste, ma anche in concorrenza con le posizioni politiche del Movimento 5 stelle con cui ci si troverà a confrontarci a lungo.

Prima si comincia questo lavoro, a partire da una riflessione di fondo di tutti coloro che partecipano alle resistenze e che si pongono il compito di costruire una alternativa anticapitalista, e prima potranno verificarsi le condizioni per cui anche in Italia la prospettiva di un governo delle lavoratrici e dei lavoratori possa uscire dalla generica e indefinita propaganda ma abbia gambe su cui muoversi.



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